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Fu così che iniziai.
Mi infilai delle vecchie scarpe, quelle che se ne stavano in una vecchia scarpiera di legno assieme a quelle che usavo raramente. La punta di una si era piegata all’indietro schiacciata dal peso di un paio di stivali di pelle nera.
Le infilai, mi guardai i piedi per qualche istante, mossi le dita e vidi la plastica alzarsi dal pavimento per riappoggiarsi delicatamente, come un’ola allo stadio.
Sospirai, guardai l’orizzonte e andai.
Corsi. Forte.
Respirai come fosse la prima volta, sentendo l’ossigeno pungermi la gola come fosse acqua gelida, arrivare ai polmoni e riempirmi. Lo sentii anche uscire, quando il solo movimento automatico lo respinse fuori, cambiato.
Alternai la velocità, quando i muscoli si facevano sentire stanchi e io li obbligavo a resistere, convincendo tutto il corpo che alla meta sarebbe mancato poco. Cambiai respirazione, quando ricordai i pochi insegnamenti validi dei miei professori di fisica, costringendomi a inspirare a bocca chiusa.
Ci fu un momento, uno in cui la stanchezza scherzava con la mia lucidità, in cui mi parve di essere diventato un cavallo; vidi in modo nitido, accanto a me, la mia ombra equina disegnarsi sull’erba.
Andai. Il mio cervello mi buttò avanti, spingendo il mio fisico con il motore della volontà. Quello che serve sempre, più di ogni spinta tangibile.
Continuai.
Sentivo la suola poggiarsi sul cemento, poi sulla terra e sulla sabbia, con una sensibilità tale che ad ogni passo mi sembrava che i piedi fossero nudi, e di poter sentire tutto, ogni minuscola frazione che componeva quel largo piano su cui mi stavo muovendo.
Non so com’è che riuscii a non pensare. A sentirmi. A sconnettermi da tutto, nonostante ascoltassi ogni cosa come fosse la prima volta. Come se stessi nascendo.
Non so nemmeno quanta strada percorsi.
Molta. Ardua. Varia.
Feci una pausa. Rallentai e barcollando poggiai le mani sulle ginocchia, piegandomi, abbassando la testa. I capelli erano bagnati. Gocciolavo.
Poi la spinta tornò. La voglia di pace che ci si aspetta alla fine di questo tipo di cose.
E ripresi. Ripartii. Come se avessi appena cominciato. Con più consapevolezza addosso.
Il fiato aveva una regolarità simile a quella di un pendolo, si muoveva come i passi, fluttuava come fosse prezioso. E lo era.
Tutto andava da sé. Come le grandi cose della vita.
Poi successe. Non so quanto poi. Ero così felice che non me ne accorsi.
Arrivai.
Il sole era caldo, forte, ad ogni respiro lo sentivo su di me come il ruggito di un leone. Proprio quando lo guardai ci passò davanti un gabbiano, poi cambiò direzione senza quasi muovere le ali e sorvolò il mare toccandolo come faceva anche il cielo all’orizzonte.
La libertà era lì.
Questo pezzo è stato ispirato da Hard Sun di Eddie Vedder.
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