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Stranezze del passato lunare

Creato il 17 settembre 2010 da Stukhtra

Descritte in tre articoli su “Science”

di Marco Cagnotti

La domanda è legittima: “Ma servirà davvero spedire sonde e Osservatori orbitanti? Se ne ricaverà qualcosa?”. Certo che sì, se “qualcosa” è conoscenza scientifica concretizzata sotto forma di articoli sulle riviste più prestigiose. Il numero di “Science” uscito due giorni fa è lì a dimostrarlo, con ben tre articoli (e la copertina!) dedicati a studi effettuati con le misure raccolte dal Lunar Reconnaissance Orbiter, operativo ormai da un anno. E ne saltano fuori risultati interessanti.

Tanto per cominciare, una bella mappa topografica di 5185 crateri più grandi di 20 chilometri, ottenuta grazie al Lunar Orbiter Laser Altimeter (LOLA) con una precisione di 10 centimetri nelle altitudini misurate. Da questa mappa si risale alla datazione dei crateri. Come? E’ ovvio: fra due crateri sovrapposti, quello sovrastante è il più recente.

Stranezze del passato lunare

Una porzione della mappa topografica lunare, ottenuta con una precisione di 10 centimetri in altitudine. (Cortesia: NASA/Goddard/MIT/Brown University)

Nel primo articolo pubblicato da “Science” e firmato da un team guidato dal planetologo James W. Head III, della Brown University, si spiega come gli antichissimi impatti furono provocati da due differenti popolazioni di proiettili, in due ondate ben distinte: dapprima i corpi più grossi, i cui crateri sono numerosi sugli antichi altipiani, e poi i più piccoli, con cicatrici frequenti nei giovani mari lunari. La transizione fra un bombardamento e l’altro va fatta risalire, secondo i planetologi, a 3,8 miliardi di anni fa.

Passiamo poi alla chimica. Qui la parte del leone la fa il Diviner Lunar Radiometer Experiment (DLRE), capace di effettuare analisi chimiche dall’orbita grazie alla radiazione infrarossa proveniente dai materiali lunari e provocata dalla loro intrinseca emissione di calore: un metodo più accurato dello studio della radiazione solare riflessa, utilizzato finora. Il risultato è pure una mappa del nostro satellite, ma in questo caso chimica. Mappa dalla quale si ricava la conferma di quanto già si supponeva: la superficie lunare è suddivisa in due regioni ben differenziate, rispettivamente gli altipiani ricchi di calcio e di alluminio e i mari ricchi di ferro e di magnesio. E allora?

E allora, spiegano Benjamin T. Greenhagen, del Jet Propulsion Laboratory, e i suoi colleghi nel secondo articolo su “Science”, gli altipiani sono meno omogenei di quanto previsto: un indizio di variazioni nella chimica e nel tasso di raffreddamento dell’oceano magmatico dal quale si formò la crosta lunare. Inoltre sugli altipiani ci sono anche cinque siti, in precedenza sconosciuti, nei quali i silicati sono ricchi di ossigeno. Ce ne importa qualcosa? Certo che sì. Ancora non sappiamo come l’ossigeno sia arrivato lì, ma, se mai torneremo sulla Luna per restarci, sarà bene sapere dove andare a prenderlo per respirare e per far funzionare i motori dei razzi.

Da ultimo, Timothy D. Glotch, della Stony Brook University, con i suoi collaboratori ha usato le misure del DLRE per scovare sulla Luna depositi di quarzo e di feldspato, di cui rende conto nel terzo articolo pubblicato da “Science”. Siccome con ogni probabilità questi minerali arrivano dalle profondità lunari, siamo di fronte alle conseguenze di un fenomeno antico e ancora sconosciuto.

Non bastasse tutto ciò, c’è pure un altro enigma: dove accidente è andato a finire tutto il materiale antico, primordiale e incontaminato del mantello lunare, che invece dovrebbe sbucare almeno da qualche parte sulla superficie lunare? Il Diviner Lunar Radiometer Experiment ha frugato fin dentro il Bacino Aitken, nei pressi del Polo Sud, cioè il cratere più antico, più largo e più profondo della Luna. Così profondo da penetrare fin dentro il mantello. E invece nada, nix, niente: non c’è traccia del materiale del mantello.

E qui si chiude, almeno per ora. Il Lunar Reconnaissance Orbiter resterà lì ancora per qualche anno. Mentre noi riferiamo degli ultimi articoli usciti, i planetologi continuano a studiare il flusso di dati e misure che arriva dal nostro satellite. Fra qualche mese verranno pubblicati altri risultati. Si spiegheranno vecchi misteri e ne appariranno altri nuovi. Così è la scienza. Noi comunque continueremo a raccontarla.

Intanto però prepariamoci, perché fra poche ore ci attende la Notte Internazionale di Osservazione della Luna, un’iniziativa promossa a livello internazionale dalla NASA e altri enti scientifici e in Italia dall’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF) e dall’Unione Astrofili Italiani (UAI). Alla vigilia dell’European Planetary Science Congress 2010, organizzato a Roma dal 19 al 24 settembre, si prevedono star party, osservazioni pubbliche e collegamenti remoti coi telescopi. Insomma il consueto ambaradan della divulgazione astronomica, che sempre colpisce e affascina l’immaginario collettivo.


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