Briciole di inchiostro si ancoravano al foglio, come corpi mossi dalla corrente. Non colava nulla dalle pagine, il nero che avrei voluto vedere liquefarsi sotto i colpi dell'acqua, s'imprimeva con maggior forza nella carta, risultandone esaltato. Avrei voluto bruciare quel libro, e ci avevo anche provato. La fiamma artificiale, bicolore, dell'accendino faticava a prendere corpo, repressa dalla scarsità di liquido infiammabile che ristagnava sul fondo di plastica. Dall'angolo annerito saliva un leggero filo di fumo, dall'odore acre, seppur sottile. Mossi lo strappo della pagina, spostando appena l'aria. La fiamma si rianimò, un istante soltanto, giusto il tempo di scaldare il cuore di una pulsazione accelerata. Vedevo nel calore rossastro del fuoco il volto del dolore, di quel passato che aveva invaso ogni fibra del mio essere, contorcendola in una lacrima sbiadita. Avevo pianto, prima di alzarmi dal letto. Il liquefarsi degli occhi aveva deformato la libreria in una massa informe di legno e bianco. Era ordinata, la vista di quelle costole differenti e variegate, seppur distorte dall'acqua che riempiva le palpebre. Cercavo una via d'uscita, un modo poco eclatante ma non silenzioso di reagire. Per un attimo pensai al rosso sul rosa, un rigagnolo netto e verticale, poi optai per la cenere. Immaginai di riversare il fiume di menzogne, mezzo canzonatorie, mezzo innamorate, sul fondo della vasca da bagno, in un letto di cenere grigia da impastare con l'acqua. La debolezza dell'accendino ebbe però la meglio.
Feci torto alla copertina semirigida del libro, una raffinata edizione Adelphi, la strappai lungo l'angolo della piegatura e la divisi in quattro parti uguali. Ripetei quel movimento divisorio come un mantra, ad ogni strappo una cellula riprendeva vita, fino a che tutta l'opera finì con l'ammassarsi sulla ceramica scalfita. Angoli retti sopra a smerigliature d'inchiostro, numeri stampati sul biancore di una vena d'albero, la colla inumidita che si gonfiava al primo galleggiare sull'acqua. Profanai il mio amore per i libri, trovando in tale gesto la mia stessa rinascita.
L'immortalità di Kundera giaceva sul fondo, sommersa dal potere della mia volontà, mentre in superficie risaliva il soffio vitale. Non l'avevo comprato per interesse culturale, quel libro, ma per prurito personale. In fondo non affogai un libro, quella domenica mattina, chiusa in bagno, ma il ricordo di una sera.
L'immortalità dell'abbaglio si sciolse nel perdono dello stesso.
Barbara Greggio
Magazine Cultura
Briciole di inchiostro si ancoravano al foglio, come corpi mossi dalla corrente. Non colava nulla dalle pagine, il nero che avrei voluto vedere liquefarsi sotto i colpi dell'acqua, s'imprimeva con maggior forza nella carta, risultandone esaltato. Avrei voluto bruciare quel libro, e ci avevo anche provato. La fiamma artificiale, bicolore, dell'accendino faticava a prendere corpo, repressa dalla scarsità di liquido infiammabile che ristagnava sul fondo di plastica. Dall'angolo annerito saliva un leggero filo di fumo, dall'odore acre, seppur sottile. Mossi lo strappo della pagina, spostando appena l'aria. La fiamma si rianimò, un istante soltanto, giusto il tempo di scaldare il cuore di una pulsazione accelerata. Vedevo nel calore rossastro del fuoco il volto del dolore, di quel passato che aveva invaso ogni fibra del mio essere, contorcendola in una lacrima sbiadita. Avevo pianto, prima di alzarmi dal letto. Il liquefarsi degli occhi aveva deformato la libreria in una massa informe di legno e bianco. Era ordinata, la vista di quelle costole differenti e variegate, seppur distorte dall'acqua che riempiva le palpebre. Cercavo una via d'uscita, un modo poco eclatante ma non silenzioso di reagire. Per un attimo pensai al rosso sul rosa, un rigagnolo netto e verticale, poi optai per la cenere. Immaginai di riversare il fiume di menzogne, mezzo canzonatorie, mezzo innamorate, sul fondo della vasca da bagno, in un letto di cenere grigia da impastare con l'acqua. La debolezza dell'accendino ebbe però la meglio.
Feci torto alla copertina semirigida del libro, una raffinata edizione Adelphi, la strappai lungo l'angolo della piegatura e la divisi in quattro parti uguali. Ripetei quel movimento divisorio come un mantra, ad ogni strappo una cellula riprendeva vita, fino a che tutta l'opera finì con l'ammassarsi sulla ceramica scalfita. Angoli retti sopra a smerigliature d'inchiostro, numeri stampati sul biancore di una vena d'albero, la colla inumidita che si gonfiava al primo galleggiare sull'acqua. Profanai il mio amore per i libri, trovando in tale gesto la mia stessa rinascita.
L'immortalità di Kundera giaceva sul fondo, sommersa dal potere della mia volontà, mentre in superficie risaliva il soffio vitale. Non l'avevo comprato per interesse culturale, quel libro, ma per prurito personale. In fondo non affogai un libro, quella domenica mattina, chiusa in bagno, ma il ricordo di una sera.
L'immortalità dell'abbaglio si sciolse nel perdono dello stesso.
Barbara Greggio
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