Delusi dagli insuccessi brasiliani gli italiani smettono i panni di allenatori e mister della nazionale di calcio e tornano a fare i costituzionalisti. Anche se, si direbbe, il governo è ancora meno disposto ad ascoltare raccomandazioni e consigli dei dirigenti delle squadre in campo. A meno che non si tratti di contigui, finanziatori, compagni di merende e che merende, se uno dei maître à penser più influenti, dispensatori di possibili interventi sulla Carta è il pizzicagnolo di corte Oscar Farinetti, quello che vuol fare del nostro Mezzogiorno una grande Sharm el Sheik, quello del FiCo, la Fabbrica Italiana Contadina, che insieme a Bottura, individuerà i cento piatti storici della cucina italiana, oggetto – è plausibile – di un decreto, che verranno poi proposti nei ristoranti della catena, quello che si è preso 55 milioni da Bologna per la sua Disneyland, definita un’esperienza sensoriale nel quale saranno evocati profumi e puzze rurali, quello che usa il Rinascimento con annesso percorso museale per vendere fusilli e paccheri, quello autorizzato a portare due guglie del Duomo a New York in occasione dell’inaugurazione del suo tempio della sua cattedrale di Eataly, il grande emporio oltreoceano dell’ideologia acchiappa citrulli, officiata da pensatori, chef televisivi, tutti a persuaderci che Bronte sia più estesa dell’Amazzonia, per produrre tonnellate di pistacchi, Colonnata più delle montagne rocciose a confezionare lardo e Cetara più dell’Atlantico per fornirci di alici, come se la globalizzazione non avesse già rifornito di siero tedesco el nostre mozzarelle, per non dire del parmisan, per non dire della smania di venedere comagnie di bandiere a emiri, insieme a coste sarde, isole lagunari e via dicendo.
Insomma con quella proterva e involata tracotanza che caratterizza i boys più o meno attempati del premier, il norcino di stato si è fatto promotore di una proposta di riforma costituzionale che consiste nella trasformazione dell’articolo 1 della Carta, convertendolo in “L’Italia è una Repubblica democratica fondata sulla bellezza”. Bontà sua che lascia la dicitura Repubblica e democratica, concetti solo apparentemente meno obsoleti del lavoro che il governo del suo amico e beneficato ha provveduto a smantellare tirando su al suo posto un edificio di precarietà, arbitrarietà, mobilità selvaggia, contratti capestro e iniquità indomabile, e che in Eataly pare abbia trovato un suo laboratorio sperimentale grazie a sistemi molto sbrigativi messi in atto dall’esoso padrone.
Si dirà che è solo una stronzata che si inserisce sulla lunga strada tracciata da una lunga fila di distruttori bipartisan di territorio e patrimonio culturale che hanno promosso oltraggi e abusi dietro ai loro slogan inverecondi e vergognosi: la bellezza è il nostro petrolio, bisogna mettere a frutto i nostri giacimenti e così via, mentre Pompei cadeva a pezzi, gli insaziabili appetiti mettevano a punto grandi opere finalizzate al profitto personale comunque privato, perforando montagne, scavando canali, innalzando dighe, pieni di buchi corrosi dai loro denti affilati di roditori avidi. Ma appunto per questo piace a chi ci crede veramente che la bellezza, l’arte, la cultura siano dei giacimenti, tanto è vero che ha provveduto a seppellirli sotto polvere, trascuratezza, oblio, indifferenza, trasandatezza, in modo da svalutarli per venderli al miglior offerente amico. E piace anche purtroppo ad alcune anime belle che ci cascano, non si sa quanto candidamente, di quelli che si innamorano dell’infausto slogan, dell’improvvida iniziativa nell’illusione che dirigano i riflettori su risorse, che purtroppo come tutte, si sono rivelate limitate e vulnerabili.
Non sappiamo come siano andati i lavori del gruppo che si agita intorno all’iniziativa del patron di Eataly, il comitato di saggi riunitosi ieri per “fare il punto” e deliberare, sappiamo che ne fanno parte un giornalista Casalini, che ha già sfornato – il termine si adatta a partner e tempestività – un agile volumetto dal titolo “Fondata sulla bellezza. Come far rinascere l’Italia a partire dalla sua vera ricchezza”, per ora solo in formato virtuale e anche una parlamentare di Sel, Serena Pellegrino della quale non conosciamo gli ultimi movimenti o le nuove appartenenze, ma che deve aver subito tanto il ruspante appeal di Farinetti da essere passata alla storia per aver pronunciato un inopportuno “cazzarola” in aula, molto censurato dalla austera presidente.
Nel repertorio di usi e abusi che dovrebbero essere messi all’indice, va annoverata alle improvvide esternazioni messe in bocca a Voltaire, la frase attribuita a Dostoevskij: la bellezza ci salverà. La bellezza gradita a chi la usa come strumento propagandistico per spacciare taralli, quella dei profeti della “valorizzazione”, che segano via foreste per realizzare nelle loro tavernette eleganti ed estetici parquet, quella di chi non potendola mettere in mezzo a due fette di pane, la sfrutta comunque con comodati, concessioni, regalie a sponsor spacciati per mecenati, quelli insomma che si riempiono la bocca dei salmi in gloria dei mercati e della crescita, non salverà niente e e nessuno. Perché senza lavoro e senza la sicurezza, l’equilibrio, la dignità per guardarla, goderne, a noi tutti che l’abbiamo avuta in prestito, che abbiamo pagato le tasse ma non è più nostra e che l’abbiamo trascurata, non restano nemmeno gli occhi per guardarla.. e per piangerla.