È qualche anno che ho perso di vista gli Stratovarius. Oddio, qualche anno. Quand’è che sono usciti gli Elements, nel 2003? Ecco, più o meno da allora. Non credo d’aver mai ascoltato uno di quei dischi per intero tra l’altro, gli Elements dico. Sempre qualche pezzo spurio qui e lì. I successivi si può dire che non li abbia proprio ascoltati, quelli della rinascita post-Tolkki poco e male (se si esclude il singolone Unbreakable che un paio d’anni fa andava fortissimo in redazione) e Stratovarius, l’ultimo con Tolkki, proprio mai. Non che mi sia perso niente, tra parentesi. Direte: e tu che ne sai visto che in pratica degli ultimi non hai ascoltato nulla per tua stessa ammissione? Eh bè, mica ci vuole chissà quale scienza per sapere che, se al novanta per cento gli Stratovarius erano Timo Tolkki, per lo stesso novanta per cento questi NON SONO lo stesso gruppo. E voialtri: vabbè, questo si sapeva, però non di meno questo sono bravi/belli lo stesso e blablabla. No. Un cazzo di niente, no. Vi spiego.
Ho cominciato ad ascoltare gli Stratovarius con Dreamspace, che presi appena uscito senza sapere un accidente di chi fossero/cosa suonassero. È un discorso che già ho fatto da qualche altra parte qua sopra: per farla breve vent’anni fa non funzionava mica che uno si ascoltava tutto il disco su youtube il giorno dopo l’uscita ufficiale oppure leggeva la recensione lampo di qualche sveglione col track by track alla cazzo di cane ed il voto pronto da sei mesi. Più facilmente avveniva che, se ti pareva il caso, compravi il disco e poi, eventualmente, a distanza di qualche tempo leggevi la relativa recensione su qualche rivista cartacea, tipo Metal Shock, Flash! o Metal Hammer. Infatti successe così anche a me, tipo uno o due mesi dopo sfogliando Metal Shock ci trovai la recensione di Dreamspace, voto 8 o 9, non ricordo esattamente, comunque un voto alto. Ed in effetti era un signor disco. Nonostante fosse evidentemente prodotto e registrato con qualche difficoltà (vari cambi di studio, il batterista che per motivi di salute non suona su tutti i pezzi, ecc…) , e nonostante la voce dello stesso Tolkki che, per quanto si sforzasse, più di tanto non poteva dare, era veramente, veramente riuscito. Chasing Shadows, Dreamspace, Abyss, 4th Reich, Tears Of Ice e compagnia bella, tutte canzoni splendide. Oddio, tranne qualcosa tipo Magic Carpet Ride, ma il disco funzionava eccome.
Appresso, e fino ad un certo punto, qualitativamente parlando sono sempre migliorati. Hanno cambiato la formula iniziale virando decisamente verso il power neoclassico, ma almeno fino a Destiny, ed in parte anche Infinite, hanno meritato il successo che hanno riscosso. Vero pure che hanno avuto la fortuna di esplodere in un momento in cui il power metal era di gran moda un po’ dappertutto, però è certo che di quella moda sono stati uno dei gruppi trainanti, e non uno dei miliardi che seguivano, con alterne fortune, la scia del successo di qualcun altro.
E poi Timo Tolkki è impazzito. Cioè, non che stesse bene prima, però il successo improvviso, i continui tour, lo stress e cazzi e mazzi ad un certo punto lo hanno portato al ricovero per esaurimento nervoso, con annesse minacce di suicidio, sindromi bipolari assortite, visioni di Gesù e la Madonna e tutte le restanti vicende che immagino conosciate benissimo.
Insomma, alla fine Timo cede gratuitamente (tanto per farvi capire quanto stesse male il poverino) il nome Stratovarius ai restanti membri del gruppo ed esce dai giochi. Questi fanno l’unica cosa che avrebbe avuto senso fare: reclutano un altro chitarrista e si mettono ad incidere dischi. D’altra parte senza un nome forte alle spalle, commercialmente parlando, sarebbero stati finiti, zero prospettive a meno di non cambiare mestiere e mettersi a pescare merluzzo, o cacciare renne, o qualsiasi cosa facciano in Finlandia comunque.
Ora, io non ho nulla contro il chitarrista attuale degli Stratovarius, e neanche contro gli Stratovarius più in generale: per me semplicemente non sono quelli che erano, il che, se per alcuni è un bene e per certi altri non è poi così male, per quanto mi riguarda non va bene affatto. È che adesso in quel gruppo sono tutti psicologicamente sani e per forza di cose la malinconia, la nostalgia crepuscolare, la tristezza e la cosmica ineluttabilità che permeavano le canzoni, o almeno certe canzoni, degli Stratovarius di Tolkki non esistono più. Una Season Of Change non sapranno mai più scriverla, non perché tecnicamente non ne siano in grado ma perché stanno tutti bene. Bene di testa, dico. Sono professionisti, pure piuttosto preparati (il tizio che suona la chitarra adesso – Matias Kupiainen – a Timo Tolkki dà la birra, per dire) fanno dischi relativamente di qualità a scadenza biennale, ma senza quell’esaurito di Timo Tolkki sono cinque musicisti che suonano in un gruppo che si chiama Stratovarius, non certo “quegli” Stratovarius. Poi potranno piacere o meno, ma è un altro paio di maniche.
E allora quando poi si mettono pure d’impegno a scrivere un album che nelle intenzioni dovrebbe riecheggiare il periodo Visions, quest’ultimo Eternal appunto, ecco che non c’entrano niente col gruppo che erano prima e dal quale evidentemente non possono prescindere, soprattutto laddove tentano di rileggerlo in chiave più attuale. Perché, purtroppo per loro, non è che bastano i tempi veloci e le trombette di My Eternal Dream a far rivivere i fasti dei metà anni novanta. E neanche a ricordarli lontanamente. Cioè, alla fine l’album si pure lascia ascoltare, ma non ti rimane impresso o che. C’è una canzone che mi è piaciuta molto, Rise Above It, poi The Lost Saga, il pezzo lungo finale a-là Visions, che pure non è male. Ma nient’altro. Certo c’è molto mestiere, che per carità già non è poco, però manca tutto il resto.
Quindi? Quindi quelli di voi a cui piacciono gli attuali Stratovarius potrebbero non apprezzare questa sorta di passo indietro, quelli come me, ai quali degli attuali Stratovarius frega nulla, non lo apprezzeranno comunque e difficilmente se ne interesserebbero in ogni caso. In qualunque categoria ricadiate si tratta comunque di un mezzo passo falso per i finlandesi, che, lo ripeto, hanno tanto mestiere in tasca e tutto sommato sono pure onesti nel tentare nuove strade e nuovi approcci. Il fatto è che per me, che identifico gli Stratovarius con Timo Tolkki e soprattutto con le sue paranoie esistenziali, questi qui sono di gran lunga troppo savi per risultare interessanti. (Cesare Carrozzi)