Un altro film a prima vista più lontano dal genere della commedia all’italiana è Straziami ma di baci saziami (Dino Risi, autore anche del soggetto, 1968): è la storia d’amore un po’ surreale tra il garzone di un barbiere, Marino, e la figlia di uno scultore di lapidi, Marisa. Amore contrastato dalla famiglia della ragazza e da mille circostanze avverse, piene di spunti comici.
L’elemento che prima di tutti salta all’occhio, anzi all’orecchio, è il linguaggio: è modellato sulla parlata marchigiana e sulla subcultura della canzone popolare, dei fotoromanzi; la sua comicità è più rarefatta, meno immediata e meno atta a suscitare la risata grassa, anche per la relativa assenza di elementi slapstick. Sono soprattutto gli attori a monopolizzare l’attenzione, e il film sembra scritto per loro piuttosto che al servizio di una storia complessa. Questa è la principale differenza tra il film e tanti altri sceneggiati da Age e Scarpelli, o diretti dallo stesso Risi. Anche la satira di costume si scioglie in un’atmosfera mélo, sempre presente ma mai disturbante. Non mancano poi, come sempre nei film sceneggiati da Age e Scarpelli, le pratiche vignettistiche, qualche battuta sagace e l’inserimento di alcuni personaggi in situazioni improbabili: basti pensare al personaggio interpretato da Ugo Tognazzi, sarto muto che ordina il caffè fischiettando canzoni militari. Proprio al suo personaggio, però, è legato un difetto di sceneggiatura che rende il finale posticcio. Quando infatti Marisa e Marino decidono di ucciderlo, scoprono che l’esplosione della stufa gli provoca solo un grande shock che gli fa recuperare l’udito, e che lo costringe a esaudire il desiderio della madre che lo voleva frate cappuccino. Quest’espediente rende possibile il matrimonio tra i protagonisti, ma rivelarlo solo alla fine rende la conclusione frettolosa. Seminare degli indizi poco alla volta, e poi raccoglierne i frutti – come lo stesso Age spiega con la tecnica della rimonta – avrebbe dato più armonia alla struttura narrativa, e forse reso più giustizia agli sceneggiatori.
Paolo Ottomano
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