La notte tra il 21 e il 22 Gennaio alcuni vandali hanno imbrattato con graffiti la facciata della Chiesa napoletana di San Giovanni Maggiore, sita nella zona universitaria, vanificando così in parte il lavoro dell’Ordine degli ingegneri di Napoli e della Fondazione degli ingegneri, cui era stato affidato dal Cardinale Crescenzio Sepe il compito di ripulirla per farne poi un polo di eventi culturali oltre che per salvaguardarne la funzione religiosa. Luigi Vinci, nella qualità di presidente di entrambi gli organismi, non si è tuttavia lasciato prendere dallo sconforto e, al contrario, ha dichiarato che a questo punto si darà un’accelerata all’opera di costruzione di una recinzione a protezione dell’edificio di culto, oltre che all’installazione di videocamere di sorveglianza.
Il centro storico di Napoli, il più esteso d’Europa e dichiarato patrimonio dell’umanità da parte dell’Unesco, inserito tra l’altro nella lista dei beni da tutelare, è un luogo in cui si respirano Storia e Arte metro per metro, è un posto dove ogni vicolo ha una mistero da raccontare, ma le cui pietre sono troppo spesso lasciate all’incuria e alle intenzioni vandaliche non solo di persone dichiaratamente rozze, ma anche di chi invece rivendica una certa predisposizione alla Cultura. Basta farsi un giro a via Mezzocannone e via Porta di Massa per guardare le mura esterne della Federico II, tutte imbrattate da disegni e scritte degli Antifa con i relativi contrattacchi dei loro avversari, oppure recarsi all’Accademia di Belle Arti per vederne l’ingresso sfigurato da pseudo-tifosi del Napoli, o ancora camminare così, semplicemente lasciandosi guidare dall’ispirazione, per ammirare scritte e discutibili fatiche artistiche frutto di parassiti della Bellezza.
In tutto questo scempio si inserisce però l’opera di privati, quali appunto, tra gli altri, l’Ordine degli ingegneri, o la Fondazione Banco di Napoli con il cui contributo è stata restaurata la guglia di San Gennaro, o ancora l’associazione CleaNAP che si è prefissata lo scopo di ripulire piazze e monumenti del centro storico, come avvenuto di recente a Piazza Bellini. È interessante poi parlare degli Street-Artists, quelli veri, ovverosia persone che intervengono sulle pareti degli edifici lasciate al degrado nascondendo almeno parzialmente quest’ultimo con opere d’arte, cioè nobilitando qualcosa che altrimenti sarebbe passato inosservato, essendo un nulla in mezzo a tanto decadimento; tra questi vorrei citare gli internazionalmente conosciuti Bansky e Zilda, ma soprattutto i napoletani Diego Miedo e Raro, che concentra il suo lavoro a Scampia, oltre a Iabo, Cyop&Kaf e tanti altri. Questo significa che Napoli, nonostante i problemi, il degrado e la povertà riesce sempre a esprimere fermento culturale, la capacità di creare il Bello perfino sulle ceneri dell’indigenza e dell’indifferenza, una vivacità che si aggira nei suoi vicoli come il sangue nelle vene e che tiene viva questa città.