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STREET ART MILANO verso Expo 2015: Stadio Street Players, Stradedarts – di Cristina Palmieri

Creato il 28 settembre 2013 da Milanoartexpo @MilanoArteExpo
STREET ART MILANO verso Expo 2015, foto di M. Olivares

STREET ART MILANO verso Expo 2015, foto di M. Olivares

STREET ART MILANO verso Expo 2015: Stadio Street Players – di Cristina Palmieri per Milano Arte Expo. Nelle giornate di sabato 21 e domenica 22 settembre si è svolta a Milano la seconda edizione di Stadio Street Players. La manifestazione, organizzata dall’associazione Stradedarts (vedi LINK) – di cui è direttore artistico il noto writer Marco Mantovani, alias KayOne - si è concretizzata in una “Jam” che ha visto all’opera duecento Writers e Street Artist, selezionati per dipingere dal vivo più di un chilometro di muro dell’ “Ippodromo Del Galoppo” di Viale Caprilli. La finalità del progetto, con tema “Il verde e i cavalli”, è quella di lasciare un contributo artistico permanente alla città meneghina, in vista dell’importante appuntamento dell’Esposizione Universale Expo 2015. >

Sono stati coinvolti numerosi fra i maggiori artisti dei graffiti metropolitani – gli street artists – ormai noti al pubblico degli appassionati d’arte da svariati anni, ma anche una selezione di studenti del corso di “Illustrazione e Animazione” dello Ied di Milano, partner dell’evento.

STREET ART MILANO verso Expo 2015, foto di M. Olivares

STREET ART MILANO verso Expo 2015, foto di M. Olivares

Grande il fermento e la curiosità che hanno gravitato intorno a questo gruppo di artisti che con le loro bombolette spray hanno ridipinto la lunga palizzata costeggiante l’ippodromo lungo via Caprilli, fino a San Siro, che già due anni fa, nel corso della prima edizione, aveva accolto bellissime opere, ormai – purtroppo – deteriorate dal tempo e, soprattutto, dagli imbrattamenti dei tifosi.

Almeno tre generazioni si sono confrontate le une accanto alle altre. I più giovani street artist, poco più che ragazzini, talvolta nelle loro goffe movenze trasgressive, ostentano consapevolezza, delle tecniche, dei “fondamentali” stilistici di quella che ormai non è più un’esperienza espressiva “borderline”, ma nel tempo si è affermata come un vero e proprio movimento artistico, a mio personale parere forse il più significativo della fine del secolo appena conclusosi.

Pur confondendosi con essi, come ovvio, questi writers hanno un background differente rispetto a coloro che ormai sfiorano i quarantanni, quelli che iniziarono il loro cammino negli anni Ottanta, legati al culto della musica Hip Hop e della cultura underground (che ancora testimoniano nel look e negli atteggiamenti). Trascorrevano le notti nel tentativo di appropriarsi di taluni “non luoghi” urbani, di quegli scenari – spesso periferici – che testimoniavano il grigiore di città spersonalizzanti, le quali poco spazio lasciavano al bisogno di asserire una cultura giovanile portatrice di nuovi fermenti, multiculturali e multietnici, alla ricerca di modalità espressive e linguaggi originali e rivoluzionari, soprattutto desiderosa di trovare la possibilità di raccontare la propria visione del mondo.

STREET ART MILANO verso Expo 2015 - foto di M. Olivares

STREET ART MILANO verso Expo 2015 – foto di M. Olivares

Street Art è infatti il nome dato dai media a quelle forme di arte che abbiano il comune denominatore, appunto, di manifestarsi in luoghi pubblici, spesso in un clima di protesta che le condanna all’illegalità, ma che consente agli artisti di raggiungere un pubblico molto più vasto rispetto a quello di una tradizionale galleria d’arte o di uno spazio istituzionale. Esiste una forte componente sovversiva e sociale nell’arte urbana, connessa alla protesta di generazioni che sempre più si oppongono al consumismo e alla post-industrializzazione, alla spersonalizzazione che vanno imponendo, soprattutto alla non equa società che il capitalismo porta con sé e che ben si percepisce nelle periferie cittadine e nel loro degrado urbano .

Le zone abbandonate sotto gli occhi indifferenti e noncuranti delle istituzioni (le quali hanno il limite di non preoccuparsi di fornire un’adeguata manutenzione delle strutture di queste aree, lasciandole andare alla deriva) divengono perciò lo scenario ideale dove esteriorizzare la condanna giovanile nei confronti dell’establishment.

STREET ART MILANO verso Expo 2015 - si ringrazia per le  foto di M. Olivares

STREET ART MILANO verso Expo 2015 – si ringrazia per le foto di M. Olivares

Ecco che i muri, come anche le carrozze dei treni e delle metropolitane assurgono al ruolo di attestazione di un malessere, specchio di una civiltà viva e brulicante, che desidera affermare una forma democratica di accesso universale e di controllo reale sui messaggi di produzione sociale. Rappresentano un barometro che registra l’evoluzione culturale di una realtà giovanile, che porta alla luce conflitti intrinseci ad un mondo in cui comunicare, ad ogni livello, è sempre più basilare.

L’ obiettivo di chi fa arte di strada diventa quello di enfatizzare il proprio microcosmo ideologico attraverso immagini di “impatto”. I lavori sono studiati per semplificare la comunicazione, sintetizzando idee attraverso precisi messaggi, ragione per cui nei “graffiti”, nei “murales”, è presente l’utilizzo di slogan, di cartoon, di tecniche simili a quelle della grafica e della tipografia, impiegati per incontrare più facilmente il pubblico su un comune terreno di condivisione simbolico-linguistica.

STREET ART MILANO verso Expo 2015, fotografie M. Olivares

STREET ART MILANO verso Expo 2015, fotografie M. Olivares

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Mentre per anni le città hanno combattuto, in America già negli anni Settanta, da noi con una decina d’anni di ritardo, la loro battaglia contro un fenomeno che, intervenendo pesantemente sul tessuto urbano, veniva assimilato al concetto di “atto vandalico”, la street art si impone, negli anni, come la manifestazione culturale più partecipata della storia dell’arte.

Quanto la caratterizza come peculiarità è il fatto di non essere un movimento che afferma “individualità”. Al contrario a rappresentarla è il costituirsi di una rete di artisti, creativi, critici e collezionisti, i quali condividono valori, idee sul mondo in cui vivono e operano.

Inizialmente, proprio in America, dove la realtà dei graffiti nasce e si segnala, i writers scelgono dei “tag”, scritte brevi, semplici, che possano essere composte in fretta, rendendoli riconoscibili, pur nell’anonimato che all’inizio caratterizza chi “firma” la città. Molti street artist prediligono nomi in qualche modo legati alla zona della città da cui provenivano. E’ il caso di “Taki 183”, accreditato come il primo tagger di New York. 183 la strada in Washington Heights, a Manhattan in cui risiede. Taki (diminuitivo greco per Demetrious) attraversa la città a piedi, è un viaggiatore metropolitano, lascia il suo “segno”. E’ del 1971 il primo articolo apparso sul “New York Times” in cui si parla di questo personaggio e del numero crescente di persone che – come lui – vanno “marcando” il territorio.

Nel tempo i “tag” si arricchiscono. Vengono riempiti di colore, valorizzati da ombreggiature ed effetti grafici. Intorno o al di fuori di essi, ma anche all’interno delle lettere, si accostano immagini, scritte. Si aggiungono sfondi, segni di provenienza tipografica, personaggi di cartoni animati (puppets), forme prese dalla segnaletica stradale o dalla logotipia. I pezzi si ingrandiscono, diventando più elaborati e colorati, dando così all’artista maggior visibilità e possibilità di essere identificato e riconosciuto attraverso uno stile personale e peculiare. Nonostante una maggiore eterogeneità e differenze sostanziali di stilemi in gioco, la street art ha conservato, nel corso degli anni, una connotazione linguistica propria. Le tecniche utilizzate, oltre allo spray, comprendono poster, sticker, stencil, installazioni, performance.

Interi quartieri vengono affollati, secondo alcuni “imbrattati”, da queste scritture impazzite. Narrazioni arrabbiate, ma nel medesimo tempo visionarie, che lanciano il loro grido contro la cultura ufficiale e perbenista.

Vi furono da subito alcune sensibilità in grado di comprendere che tale realtà serbava in sé i germi di una rivoluzione, artistica oltre che sociale e culturale.

Hugo Martinez, sociologo del City College di New York, affascinato dalla sovversiva novità del loro linguaggio, avvicinò alcuni dei più noti personaggi del writing al fine di dar vita ad un’associazione, la celeberrima “United Graffiti Artist” (UGA), che li aiutasse ad incanalare l’arte di strada in contesti che le conferissero la debita attenzione. Da quel momento i writer più vicini ad un lavoro di ricerca artistica tenderanno ad esprimersi in campi più protetti, come nelle “hall of fame”, spazi messi loro a disposizione per dipingere legalmente. Il “New York Times” pubblica numerosi articoli stendendo una sorta di “Graffiti Hit Parade” con le foto dei pezzi ritenuti più raffinati e più belli. Nel 1974 viene pubblicato il volume “The Faith of Graffiti”, con fotografie a colori e un testo di Norman Mailer, che fu tra i primi a mettere in luce il carattere profondamente sovversivo del fenomeno.

Al termine degli anni ’70 iniziano ad affermarsi personalità come Keith Haring e Jean-Michel Basquiat, che entreranno a far parte ben presto, e a pieno titolo, del circuito dell’arte internazionale, raggiungendo nel tempo le quotazioni da capogiro che oggi conosciamo. Si assiste alla nascita di un “graffito letterario”, attraverso il quale esprimere aforismi, frasi spiazzanti e intrecci densi di segni e simboli.

E’ il sintomo di un mutamento in atto nella prassi di alcuni artisti di strada; la radicalità ideologica comincia ad essere contaminata da elementi post-pop, da citazioni, da continui e ripetuti richiami ad altri linguaggi e ad altre forme culturali.

Durante gli anni ’90 il graffitismo, ormai sbarcato anche in Europa, si divulga velocemente negli altri continenti, grazie anche all’influenza di nuove culture quali lo skateboarding e il punk, diffondendosi sempre di più e diventando un fenomeno di massa.

Oggi è unanimemente riconosciuto quanto il linguaggio della street art sia ormai parte dell’estetica del post-modernismo.

Numerosi artisti, perfettamente integrati nel sistema convenzionale del mercato dell’arte, traggono il loro valore da esperienze precedenti spesso formalmente illegali. Oggi molti street artist dipingono anche su supporti classici e vendono i loro lavori nelle gallerie a cifre ragguardevoli. Continuano a sperimentare, inglobando nei loro lavori le tecniche abituali dei graffiti, affiancate a nuovi stili di creazione, non cessando mai di trovare nuove semantiche espressive.

Ecco che, nell’ottica che ha visto nascere questa rubrica, mi sento di suggerire ai collezionisti di seguire questi nomi e di investire su di essi.

La corrente artistica è molto vasta e raggruppa molteplici stili che vanno dal semplice spry bombing alla realizzazione di opere più complesse nello stile e nella forma.

Tra i suoi protagonisti italiani possiamo distinguere personalità come quelle di Daniele Falanga, Flick Yoli, il gruppo SOSIC Soho Street Ink, Pho, Bros, KayOne, Rae Martini, Filippo Minelli, Mr. Wany, Gep, molti dei quali erano presenti sabato all’evento presso San Siro.

Interessante – a conclusione – la vicenda che lo scorso anno ha visto protagonista proprio KayOne, il quale ha vinto una causa a tutela del diritto d’autore contro un artista che, riproducendo in maniera quasi del tutto identica le sue opere, senza alcun “profilo di autonomia creativa” (per utilizzare le parole del giudice), le vendeva poi su internet a basso prezzo.

Ecco il percorso. Dall’illegalità iniziale degli street artist al successo di personaggi il cui talento è oggi riconosciuto dai più. Alcuni sono artisti tout court, altri noti art director, grafici, stilisti. Rimane in loro quella determinazione di essere sempre, e comunque, parte attiva in un momento storico di profondi trasformazioni socio-economico-politiche, continuando a vivere la pratica dell’arte non come momento di personale contemplazione e meditazione, quanto piuttosto di precisa militanza che ancora oggi riesce a dar voce all’insofferenza, alle paure, all’inquietudine che serpeggiano nel nostro tempo, ma anche alla fiducia e all’utopia.

CRISTINA PALMIERI

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MAE Milano Arte Expo [email protected] ringrazia Cristina Palmieri per il testo STREET ART MILANO verso Expo 2015, Stadio Street Players e per la rubrica Il filo di Arianna dedicata al mercato dell’arte, all’andamento delle quotazioni artisti contemporanei e al collezionismo. Vedi al >LINK< tutti gli articoli di Cristina Palmieri.

MILANO ARTE EXPO, mercato ARTISTI E QUOTAZIONI
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