Ignazio Marino è davanti dopo il primo turno alle comunali romane. Ruscirà a vincere anche il ballottaggio con Alemanno? (daw-blog.com)
Daje! Lo slogan scelto da Ignazio Marino per la corsa al Campidoglio sembra aver portato bene. Almeno al primo turno, in cui il candidato del Pd ha staccato di 12 punti il sindaco in carica, il pidiellino Gianni Alemanno (42,60% a 30,27%) e di 30 punti il candidato del Movimento 5 Stelle, Marcello De Vito, fermatosi al 12,43%.
Nel resto d’Italia risultati abbastanza sorprendenti. Come sempre accade dopo un’elezione, è scattata nella serata di lunedì 27 maggio la gara dell’interpretazione più fantasiosa della realtà da parte di candidati e segretari di partito. Nessuno perde, qualcuno pareggia, molti “vincono”. Eppure, a leggere i numeri, il quadro è abbastanza netto: boom dell’astensione, il Pd tiene, il Pdl va (molto) peggio del previsto, crolla il M5s ed è quasi scomparsa la Lega Nord. Vedere in maniera diversa i dati denota incapacità di lettura o malafede: in entrambi i casi, due condizioni inaccettabili. Al netto di alcune, sacrosante premesse che caratterizzano il voto amministrativo: il peso della leadership nazionale è subordinato alla concretezza personalistica della realtà locale; l’affluenza media alle amminstrative è tradizionalmente inferiore a quella delle politiche; nell’elezione dei sindaci il doppio turno “sparpaglia” il voto nel primo e lo concentra nel secondo.
Eppure da destra a sinistra, dal centro alla periferia, dalle stalle ai 5 stelle pochi, pochissimi sono riusciti ad analizzare con un minimo di obiettività i risultati usciti dalle urne. Il circo delle opinioni in merito si divide tra struzzi ,avvoltoi e grilli. Gli struzzi sono quelli che nascondono la testa sottoterra e non vogliono o non riescono a guardare nella sua nuda drammaticità il dato dell’astensione. Gli avvoltoi sono quelli che azzannano il (presunto) cadavere del Movimento 5 Stelle celebrandone tronfiamente la fine politica e l’inutilità ontologica: gioco pericoloso, oltreché scorretto e sgradevole. Un calo fisiologico era prevedibile, specie in una tornata di amministrative dove, lo si ripete, più dei nomi e dei proclami roboanti contano le facce. Certo, un crollo veritcale di circa la metà dei voti presi solamente 3 mesi fa alle politiche era abbastanza impensabile, ma guai a dare Grillo per morto come spesso si è fatto con Berlusconi. Il M5s potrebbe anche riassestarsi attorno a uno zoccolo duro del 15% a livello nazionale, cifra che sarebbe molto più “gestibile” del 25% preso tre mesi fa. Proprio il Grillo, Beppe, è il terzo acrobata del circo delle opinioni: in un post molto accalorato sul suo Blog il comico-politico genovese se la prende con quanti hanno votato “Pdl e pdmenoelle” in nome dell’antico italico adagio del “teniamo famiglia”. Una visione un po’ limitata e un tantino infantile di un risultato elettorale tutt’altro che soddisfacente. Anche in questo Grillo e il Movimento, se vogliono continuare a sopravvivere, devono “crescere”. Nel senso più profondo del termine.