A chi conviene l’immagine della donna-vittima.
Se si cerca con Google Immagini la parola ‘Stupro’ ci apparirà il seguente risultato:
E’ proprio vero che, nel modo in cui si costruisce la narrazione intorno allo stupro, si tende a sminuire la capacità delle donne sia di opporsi e di resistere ai tentativi di aggressione sia di riprendersi dopo averla subita. Questo fatto viene sottolineato con forza da J. Bourke nel suo libro sulla violenza sessuale (di cui ho già parlato qui). Ciò che viene accentuato è infatti, solitamente, la passività delle donne, accentuazione che contribuisce a creare un’ immagine della donna come “soggetto sofferente“. Attorno ai racconti di stupro si è quindi consolidata una retorica che mette in evidenza la vulnerabilità femminile, la donna come soggetto passivo incapace di difendersi.
Il discorso sulla vittimizzazione, spiega la Bourke, aveva un suo senso specifico quando, con il femminismo degli anni Sessanta e Settanta, parlare delle donne come ‘vittime’ della società patriarcale aveva il significato di una denuncia di tipo politico. In questo contesto la donna stuprata non veniva descritta semplicemente come un soggetto passivo, ma al contrario, essa diventava un soggetto politico attivo capace di denunciare le perversioni di una società in cui le donne non avevano alcuna voce. La donna, vittima dello stupro, diventava “un agente di cambiamento determinato e arrabbiato”.
Ora però il discorso sulla donna come vittima si è completamente depoliticizzato. Il concetto di vittimizzazione si è, in un certo senso, assolutizzato. In questa prospettiva, la donna viene descritta come soggetto totalmente passivo, incapace di agire. La donna stuprata è una donna “definitivamente segnata”.
Il messaggio principale che in tal modo viene lanciato, in un contesto completamente privatizzato, è che la donna in quanto indifesa, debole, fragile, non solo ha bisogno dell’uomo per essere protetta, ma necessita che lo spazio ‘pubblico’ sia reso ‘sicuro’. Ecco che il discorso che si concentra sulla vittimizzazione, fa ora gioco alle forze conservatrici che, in nome dell’ordine e della necessità di proteggere le donne, auspicano politiche restrittive. Queste, sottolinea la Bourke, però si sono sempre dimostrate fallaci nel rispondere efficacemente al problema sullo stupro.
Occorre cambiare prospettiva. Occorre, in primo luogo, sottolineare la capacità di “resistenza” delle donne. Le donne non sono soggetti fragili e passivi. Le donne lottano per non essere aggredite, e quando vengono stuprate hanno la forza di riprendersi. La debolezza non è nelle donne, ma in una società che chiude gli occhi di fronte alla violenza. Che la confina nel privato. Che la usa per i suoi fini liberticidi. Una società che non solo non si pone il problema dello stupro, ma che usa l’immaginario della violenza contro le donne stesse. Stuprate due volte.