“Lo stupro è una forma di rappresentazione sociale“.
Ma non solo. Della cultura da cui dipende e secondo la quale esso si concretizza in un determinato modo piuttosto che in un altro, lo stupro è una rappresentazione. La violenza sessuale, il suo ‘rituale’, sono uno specchio in cui il sociale si riflette. “Stupro e violenza sessuale sono profondamente radicati in specifici ambiti politici, economici e culturali“. Non si possono indagare le ragioni della violenza, senza comprendere la loro specifica collocazione e dipendenza dall’ambiente in cui si realizzano e da cui traggono il loro significato.
Non si tratta di giustificare chi commette violenza. Al contrario. Il problema non è qui quello di condannare o meno il singolo che stupra, la responsabilità personale di chi si macchia di un crimine intollerabile. Si tratta di comprendere quali siano le armi migliori affinché quelle violenze non si ripetano. Si tratta di valutare dove agire affinché la violenza sessuale non trovi ragione nello spazio sociale e culturale. “Stupratori non si nasce ma si diventa“. Lo si diventa a partire da determinate condizioni sociali e culturali. Si tratta quindi di agire su quel terreno che fornisce allo stupro e alla violenza nei confronti delle donne un significato specifico. Solo quando lo stupro non avrà più nessun senso, sarà possibile immaginare una società senza stupratori.