Il 18 dicembre presso la sede dell’Istituto Luigi Sturzo di Roma è stato presentato il volume “Il Mezzogiorno e l’Italia”, che contiene due classici del pensiero meridionalista: “Il Mezzogiorno e la politica italiana”, discorso pronunciato da Luigi Sturzo nella Galleria Principe di Napoli il 18 gennaio 1923, e il saggio di Antonio Gramsci “Alcuni temi della questione meridionale” scritto nel 1926, alla vigilia del suo arresto.
Durante la presentazione del libro, pubblicato dalle Edizioni Studium in collaborazione con la Fondazione con il Sud, l’Istituto Luigi Sturzo e la Fondazione Istituto Gramsci, sono stati evidenziati alcuni temi presenti nei due testi. Innanzi tutto, la decisione di riproporre insieme Sturzo e Gramsci è scaturita dal bisogno di ritrovare le radici di un approccio politico profondo e appassionato. Paragonando i protagonisti della scena politica del dopoguerra con quelli odierni Carlo Borgomeo, presidente della Fondazione con il Sud, ha evidenziato la necessità di risalire ai tempi in cui la riflessione politica aveva un suo “potere”, mentre Ciriaco De Mita, riferendosi all’oggi, ha parlato di “semplificazione e mancanza di pensiero” pericolose per i valori democratici.
Il giornalista Giuseppe Sangiorgi ha sottolineato “la passione civile, la cultura e la capacità di analisi” che i due pensatori hanno in comune. Dunque un aspetto attuale della lettura di Sturzo e Gramsci consiste nella necessità di riaffrontare i temi della politica con un atteggiamento più maturo e approfondito e, aggiungiamo noi, sincero e disinteressato, per arginare la dilagante superficialità argomentativa e propositiva del nostro tempo.
La scelta dei due autori è stata operata anche in base a un’altra considerazione, ovvero il fatto che Sturzo e Gramsci con i loro scritti conferiscono alla questione meridionale una valenza nazionale e non più locale: l’unità d’Italia doveva portare a una coesione non solo politica ma anche culturale e sociale. Purtroppo questa linea, dalla metà degli anni ’70, come ha affermato lo storico e politico Giuseppe Vacca, è venuta meno e la questione meridionale è stata accantonata per puntare sulla parte forte della nazione, il Nord. La questione è rimasta a tutt’oggi drammaticamente insoluta, e sarebbe opportuno che la politica riprendesse il problema e lo affrontasse, perché un Paese “a due velocità” non può andare lontano.
L’originalità e la modernità della visione che Sturzo aveva riguardo al ruolo internazionale del Mezzogiorno emerge chiaramente dal discorso pronunciato dal sacerdote di Caltagirone. Come ha esposto lo storico Francesco Malgeri, nell’ottica sturziana il Sud avrebbe dovuto costituire un punto di riferimento e di coesione dell’area mediterranea, così come il Nord nei confronti dell’area Mitteleuropea. L’intervento di Ciriaco De Mita ha evidenziato il merito di Sturzo, che insieme a De Gasperi ha creato “le dimensioni della solidarietà”, di avere conferito alla politica una portata internazionale. Come sottolineato da Vacca, “un Paese dualista con un governo centrale deve avere una lucida visione geopolitica”, e questa idea è uno degli elementi di modernità non solo del discorso di Sturzo ma anche dello scritto di Gramsci, che per profondità e acutezza è utile anche per analizzare la situazione attuale. Sturzo e Gramsci avevano dunque visto lontano, anche se i loro moniti e le loro indicazioni, come spesso succede, non sono stati presi molto in considerazione.
Un’altra questione passata quasi inosservata durante il dibattito e su cui forse sarebbe valsa la pena di soffermarsi, è l’importanza del concetto di “regionalismo” sturziano all’interno del discorso sul Mezzogiorno e sull’Italia. Il fallimento della questione meridionale è infatti strettamente legato al fallimento per varie cause (inadeguatezza della classe politica e amministrativa meridionale, mancanza di collaborazione con il governo centrale) del regionalismo come lo intendeva Sturzo.
Il libro presenta dunque una doppia lettura di un tema ancora attuale – o meglio che dovrebbe tornare a esserlo – e la pubblicazione di due classici del pensiero politico del Novecento non va interpretata come una semplice celebrazione, ma come uno strumento che ci può fornire le adeguate chiavi di lettura per interpretare la situazione presente e capire come andare avanti.
Marco Cecchini