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Uno degli errori più frequenti nella difesa a spada tratta di una didattica principalmente - quando non esclusivamente - induttiva consiste, ed è quasi un paradosso, nella mancanza di interazione con la classe. Il docente è così impegnato a selezionare i fenomeni che dovrebbero portare i ragazzi alla formulazione della regola o della conoscenza, che spesso trascura la base di partenza dei suoi interlocutori (anzi: smette anche di considerarli tali e si limita a una generica e scolastica tassonomia dei "prerequisiti"). Accade, cioè, che la riduzione della disciplina, o di una parte della stessa, a oggetto della didattica sopravanzi il posto dell'alunno come soggetto del processo di apprendimento. Sebbene possa sembrare il contrario, ciò accade spesso, e talvolta anche quando il corso di studi è già organizzato e indipendente.
Si dirà che la disattenzione nei confronti dell'alunno prescinde dal tipo di approccio preferito: verissimo, un docente che enunci date e regole finisce con l'essere del tutto avulso dalla realtà. Però non è meno vero che spesso la soluzione più frequente per il professore "induttivo" risulta essere quella della moltiplicazione ad libitum dei fenomeni, degli esempi. Si offre ai ragazzi un campionario molto ricco, di indubbio valore, poiché evita l'addensarsi di dati in quanto significativi e da memorizzare in quanto tali; ma si rimane anche vincolati al ripresentarsi del dato, magari con una virtuosistica - anche se comprensibile - ricerca di passi già noti, di ricorrenze lasciate in sospeso. In sostanza, manca in certi casi quel quid imperscrutabile che consente di maturare la soluzione dell'enigma. Questa viene lasciata agli studenti67 o data, allo stremo di forze e pazienza, dal docente minacciato dal suono della campanella.
E questo è già il caso più favorevole. Perché ciò che non si dice del metodo induttivo nel suo insieme è che richiede maggiore attenzione, continuità, impegno. I ragazzi - e talvolta anche i docenti - che si illudono di aver trovato un'alternativa più piacevole e leggera alla lezione dogmatica si sbagliano. Il metodo induttivo non è, e non può essere mai ridotto a una conferenza affabulatoria con annessa bacchetta magica che induce ad apprendere per magia ciò che la volontà nega. Se una classe non sta ascoltando, sarà molto più immediato e sbrigativo ricorrere alla conoscenza predigerita alla quale forse alludono coloro che vogliono ridurre la scuola di un anno per fare della scuola un'istituzione preparatoria al lavoro.
Voglio dire: la perifrastica passiva e l'equazione di secondo grado può spiegarle chiunque - e non è raro che nella tutoria da alunno ad alunno l'adolescente sia più bravo del professore a trasmettere la nozione secca. Ma fare imparare qualcosa è ben altro. La didattica, in generale, passa per il coinvolgimento e, in particolare per il meccanismo induttivo ciò è essenziale perché un ragazzo capisca e impari. E sottolineo impari, dal momento che la comprensione di un dato richiede l'ascolto intelligente, ma per fissare questo dato, di qualunque natura sia, occorre una partecipazione attiva (qualunque professore abbia esperienza diretta e non pregiudiziale del metodo natura saprà che senza un martellante ritorno sulle nozioni apprese l'alunno è destinato a sicuro fallimento scolastico per il Latino e il Greco).
Non si può scaricare sul docente la responsabilità della partecipazione attiva dei ragazzi: si può tentare di stimolarla in ogni modo, ma una volta che la si pubblicizza a gran voce è necessario che questa sia stimolata a casa e in ogni ambiente perché la si possa considerare una componente della didattica. Né, d'altro canto, ha senso pensare a una didattica che prevede la passività del suo destinatario: parlare in termini di ragazzi da educare, addottrinare, informare o quel che si vuole senza pensare a una loro partecipazione è semplicemente assurdo: significa che si torna a quei progetti secondo i quali gli alunni vanno preparati a qualcosa, piuttosto che alla vita attraverso qualcosa. La scuola - anche quella professionale - non è (e non dovrebbe essere intesa come) un corso, anche se è organizzata e suddivisa per corsi disciplinari.
La didattica induttiva, per concludere qui, soffre più di altri tipi di approcci di tutta una serie di problemi che avviliscono la scuola attuale e in particolare la sua pretesa di essere utile, autosufficiente, spendibile. In particolare, non è utile, ed è anzi detestabile, un processo induttivo che non includa la possibilità dell'errore e non consenta all'alunno di ragionarci su. Perché questa è, sì, una differenza sostanziale tra il metodo deduttivo e quello induttivo: se ben ponderato, quest'ultimo consente lo spazio per maturare in autonomia il proprio modo apprendere, dal momento che i ragazzi si confrontano con il loro ragionamento e attraverso questo arrivano a una conoscenza, a una competenza o/e a un'abilità.
Tuttavia c'è un ma, ed è un ma che ministri e genitori tuttologi dovrebbero valutare. Se si apprende in conseguenza di un coinvolgimento della classe, il coinvolgimento dei ragazzi non è, per parte sua, a comando. Dobbiamo sfatare la mitologia di questo coinvolgimento strumentale, modello "animatore turistico", perché le dinamiche in classe sono del tutto diverse. Non si può pretendere che un insegnante arrivi e accenda la classe come si accende un interruttore se tutto attorno a loro c'è chi ha staccato la corrente. Può capitare in giorni molto fortunati, ovvio, ma anche in quei casi è perché c'è qualcosa, intorno agli alunni, che già fornisce energia, vigore. Il metodo induttivo parte da una disposizione a capire e apprendere e si basa, più di ogni altro, su un'intelligenza alimentata e rispettata delle persone, non sull'idea che si fa loro apprendere qualcosa anche se gli interlocutori sono idioti o non vogliono imparare.
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