di Michele Marsonet. Davvero notevole il “cambiamento di clima” a pochi giorni dal massacro di Parigi. Mentre, in un primo momento, la solidarietà con la redazione di Charlie Hebdo era – o sembrava – totale almeno in Occidente, ora si notano crepe crescenti, la voglia di differenziarsi e la tendenza a introdurre distinzioni di cui, prima, non v’era traccia o quasi. Cos’è successo, dunque? Pur restando chiarissimo e sacrosanto l’orrore per quanto è accaduto, e soprattutto per il fatto di vedere in diretta dei fanatici vestiti di nero che ammazzano a colpi di kalashnikov giornalisti e gente comune urlando slogan religiosi, si notano ripensamenti ingigantiti anche dalle parole del Papa.
Ovvio che la condanna resta intatta. Tuttavia la diffusione massiccia del primo numero post-strage della rivista ha consentito a tanti – anzi tantissimi – di farsi un’idea più precisa circa i suoi contenuti. Giacché Charlie Hebdo aveva conosciuto un momento alto di popolarità ai tempi del primo attentato, assai meno tragico dell’ultimo, ma non si può certo affermare che sia un giornale estremamente popolare.
In Italia la meritevole iniziativa del “Fatto Quotidiano” di diffonderlo ha avuto un enorme successo. Già nella prima mattinata di Mercoledì 13 gennaio “Il Fatto” è andato a ruba, tanto che non se ne trovava più copia nelle edicole. Il giorno successivo i “ritardatari” hanno avuto soddisfazione e si può dire, a questo punto, che a tutti gli interessati è stata offerta l’opportunità di leggerlo.
Ebbene, confesso senza patemi d’animo che gran parte delle vignette non mi sono affatto piaciute. La stessa impressione, del resto, che ho ricevuto in passato leggendo, per quanto di rado, dei numeri precedenti.
In tutti i casi ho trovato le illustrazioni eccessive, nel senso di inutilmente pesanti e troppo volgari. Mi sono chiesto, in altri termini, se non fosse possibile veicolare lo stesso messaggio con toni più pacati e meno stridenti.
E qui immagino già l’obiezione. La satira è satira, punto e basta. Un disegnatore può essere eccessivo per alcuni e non per altri. Vivendo in Paesi in cui la libertà di espressione è assoluta e riconosciuta dalla legge, introdurre limiti significherebbe inficiare quella stessa libertà rendendoci simili alle nazioni in cui la stampa – e tanto meno la satira – libera non è.
La Francia, inoltre, vanta in questo campo una tradizione antica e consolidata. Charlie Hebdo è solo un caso, ma si pensi ad esempio all’ancor più celebre Canard Enchainé. Anche lì redattori e vignettisti sono forse un po’ meno esagerati, ma non vanno certo per il sottile.
Poi hanno fatto grande impressione le parole di Papa Francesco, il quale ha affermato senza mezzi termini che la libertà di espressione va rispettata ma ha anche dei limiti. In sintesi. Ognuno ha il diritto di praticare liberamente la propria religione “senza offendere”. Non si può uccidere in nome d Dio. Ognuno ha il diritto e anche il dovere di dire ciò che pensa. E, infine, non si può insultare e prendere in giro la fede degli altri.
Con queste affermazioni il capo della Chiesa di Roma ha in sostanza ribadito che pure la libertà ha dei limiti, e che questi vanno rispettati sempre e in ogni caso. E’ opportuno ricordare, a tale proposito, che il liberalismo non dice cose diverse. La mia libertà è assoluta nella misura in cui essa non danneggia o offende gli altri. Se mi accorgo che ciò avviene, devo autolimitarmi e trovare un equilibrio in grado di garantire la pacifica convivenza con coloro che mi circondano.
Sembrerebbe tutto così semplice leggendo le frasi del Papa. Invece non lo è affatto, e la storia lo dimostra. Secoli di riflessione giuridica e filosofica non sono bastati per trovare quel perfetto punto di equilibrio grazie al quale ciascuno di noi, praticando la propria libertà, possa al contempo essere certo di non offendere e limitare la libertà altrui. Il conflitto dei valori, al quale Max Weber e Isaiah Berlin (con molti altri) hanno dedicato opere magistrali, è un tratto ineludibile della natura umana e di ogni società cui l’umanità ha dato vita nell’ormai lunghissimo corso della nostra storia.
Risposte semplici non sono purtroppo disponibili. Le impressioni sgradevoli che molti hanno provato leggendo l’ultimo numero di Charlie ci rammentano che il rischio di offendere la sensibilità del prossimo è sempre presente. La strage, d’altro canto, ci fa capire che altrettanto presente è il rischio dell’intolleranza violenta, disposta a ricorrere pure alle armi per zittire e intimidire.
Vorrei infine far notare che il problema riguarda soprattutto l’Islam per motivi ormai ben noti. Ma non sono soltanto i musulmani a essere coinvolti. Alcune delle vignette più fastidiose hanno infatti quali bersagli proprio il Papa, e poi preti e prelati cristiani. E’ davvero questo il solo modo per criticare, anche con veemenza, le chiese cristiane e i loro rappresentanti?
Non penso occorra essere credenti per rispondere in modo negativo al quesito di cui sopra. Anche un laico – nel senso di non credente – può sentirsi negativamente colpito da un eccesso di volgarità.
Non illudiamoci, però, di aver risolto il problema con riflessioni di questo tipo. Lo si potrebbe risolvere soltanto trovando quel perfetto punto d’equilibrio tra la libertà mia e quella degli altri che ho nominato in precedenza. Nessuno è mai riuscito in tale intento e, a ben guardare, è proprio tale fallimento a insegnarci che il conflitto dei valori è insolubile.
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