Sul blog di Metilparaben è apparso questo post, nel quale si chiede se uccidere la propria partner o ex “perché non si sottomette alla propria volontà, perché non corrisponde alle proprie aspettative o semplicemente per gelosia” (descrizione sommaria e discutibile, ma sorvolo) è più grave o no dell’uccidere il proprio partner per le stesse ragioni. Il motivo della domanda è la proposta di inserire nel codice penale un’aggravante per violenza di genere. In pratica, se un uomo ammazza la propria moglie, fidanzata o ex per ragioni riconducibili ad una mentalità maschilista, di “dominio maschile” o di “possesso” a seconda di come vogliamo definirla, si propone di applicare un extra di pena.
Gli argomenti di Metilparaben sono apparentemente ragionevoli, e tuttavia a mio avviso – su un piano puramente logico – non sono validi. Aggiungerò anche una considerazione politica, che ha a che fare con quello che per me è l’approccio che si dovrebbe mettere in atto per gestire quella che – come lui stesso riconosce – nel nostro paese è un’emergenza.
Mi auguro che da questo possa nascere un dibattito serio, e informato, sulla questione.
(1) Innanzi tutto, secondo Metilparaben, una delle ragioni per cui si propone l’aggravante è che gli omicidi di donne da parte di (ex) partner sono molti di più che non il caso contrario. E questa non è una buona ragione, a suo avviso, perché nel diritto penale si valuta un caso singolo, e un’aggravante di questo tipo finirebbe per far pagare al singolo, in qualche misura, anche le colpe altrui, e ovviamente questo non sarebbe giusto. Non mi sembra un ragionamento corretto. Proviamo ad applicare questo ragionamento ad altri casi: chi uccide una persona di colore perché è razzista viene condannato per il suddetto omicidio con l’aggravante dell’odio razziale. Per caso ci fa specie che la presenza di una specifica “mentalità” nell’assassino sia punita, e pensiamo a quant’è ingiusto che lui paghi di più perché ci sono altri razzisti? E soprattutto: se anche esistesse una sola persona razzista al mondo, il fatto che sia una sola persona renderebbe meno grave la sua “mentalità”? Non sarebbe comunque un “di più” rispetto alla semplice volontà di uccidere?
(2) In secondo luogo, secondo Metilparaben, per essere davvero equi dovremmo prevedere lo stesso tipo di aggravante se il colpevole fosse una donna, la vittima un uomo, e la ragione una mentalità femminista. E questo sarebbe ingiusto per le stesse ragioni di cui sopra, ma anche perché si farebbe pagare alla mentalità maschilista un prezzo maggiore soltanto perché i maschilisti sono più diffusi delle femministe, posto che per Metilparaben l’atto stesso di considerare una mentalità un’aggravante è apparentemente inaccettabile (cosa che però, ancora una volta, sembra non creare problemi nel caso dell’aggravante per odio razziale). Il punto che non tiene, però, è un altro, e cioè che maschilismo e femminismo non sono proprio la stessa cosa: se da un lato la mentalità maschilista sostiene e prevede la subordinazione della donna (in sintesi), la “mentalità” femminista, dall’altro, è un movimento culturale e politico che richiede l’equità (anche qui in sintesi) tra uomo e donna. Il femminismo non persegue un’inversione delle dinamiche di potere, e dunque la subordinazione dell’uomo da parte della donna, ma la loro fine (anche qui grossolana sintesi): quindi non si possono mettere femminismo e maschilismo sullo stesso piano.
(3) Infine, un’ulteriore ragione a favore dell’aggravante sarebbe quella della differenza di forza fisica tra uomo e donna, e quindi la maggiore vigliaccheria di un atto violento compiuto dal più forte sul più debole. Al di là del fatto che questa a mio avviso è una ragione secondaria, e che qualunque atto di violenza, per avere luogo, deve necessariamente presupporre una differenza di forza (o di potenziale offensivo in generale) la ragione semmai è quella di un differenziale di potere che non è solo fisico, ma si estende a più contesti – sociale, culturale, e/o psicologico – e viene esercitato attraverso la violenza. Questo è innegabile. E non vedo perché non debba essere sanzionato in una società civile. Spesso si prevedono misure per tentare di equilibrare certe differenze di potere (pensiamo al rapporto tra datore di lavoro e dipendente, ad esempio).
Ma il punto fondamentale attorno a cui ruota l’argomento contro l’introduzione dell’aggravante è, per quanto mi sembra, una specifica idea di giustizia. Da quanto mi sembra si possa dedurre dal post, secondo Metilparaben la giustizia deve applicarsi in modo assolutamente uguale a tutti i cittadini. Sembra un principio elementare e inattaccabile. Tuttavia è evidente che le cose non funzionano così. La legge prevede sempre delle misure particolari a seconda del tipo di soggetti a cui si applica. Se si pensa ad una ideale situazione di partenza nella quale tutti i cittadini si trovano nelle medesime condizioni sociali, culturali, economiche e via dicendo, allora è facile affermare che la legge debba essere uguale (nel senso più elementare del termine) per tutti. Ma se si considera la realtà, che è fatta di disparità macroscopiche su tutti i piani citati, allora quello che è giusto non è un trattamento identico applicato a persone diverse, ma un trattamento calibrato sulle differenze e teso a ristabilire l’equità: che non è il punto di partenza, quanto piuttosto il risultato atteso. Se tutti fossero considerati uguali in un senso così banale, un’aggravante come l’odio razziale non esisterebbe. Non esisterebbero centinaia di tutele giuridiche per centinaia di migliaia di soggetti. Non esisterebbero borse di studio, pensioni di invalidità, sussidi di disoccupazione, fondi per il Sud, incentivi all’imprenditoria giovanile ecc. ecc. Si potrebbe continuare all’infinito.
Quindi: chiaramente questa misura di legge, da sé, non risolverebbe né risolverà l’emergenza femminicidio. Ma altrettanto chiaramente può fare un gran lavoro se inserita in un insieme articolato di misure tese a contrastare la suddetta emergenza (come accaduto in Spagna e Argentina). Francamente, non capisco il perché di tutta questa perplessità su una misura che – fra le molte altre necessarie, ribadisco – darebbe un segnale molto chiaro della ferma volontà da parte dello Stato di non tollerare più in alcun modo la subordinazione delle donne da parte degli uomini – come anche l’omofobia, ad esempio. Credo che per un paese come l’Italia, che ha abolito il delitto d’onore e il matrimonio riparatore soltanto nel 1981, ossia trentuno anni fa, sarebbe un passo avanti di una certa rilevanza.
O non ci sentiamo ancora pronti?
[A scanso di equivoci, per tutti gli uomini che si sentissero minacciati da queste misure (reputo Metilparaben troppo intelligente per far parte di questa categoria) vorrei chiarire che non esiste alcun pericolo che le eventuali misure poste in essere al fine di rimediare ad una drammatica situazione di disparità sociale e di diffusa violenza finiscano per capovolgersi in una discriminazione al contrario. Non prima di un paio di secoli, quanto meno].