(mio breve intervento su Panorama: il resto lo leggete sul settimanale oggi in edicola, nella pagina dedicata agli scenari; questa è la mia versione, prima del lavoro redazionale)
Il 1° maggio, Recep Tayyip Erdoğan ha incontrato il patriarca (vicario) degli armeni di Turchia, Aram Ateşyan. C’erano già stati faccia a faccia, ma stavolta il contesto era speciale. Il 23 aprile, il premier turco ha infatti pubblicato un messaggio in cui per la prima volta si offrono le condoglianze ai discendenti delle vittime armene dei massacri del 1915: un genocidio per gran parte della comunità internazionale, ma non per la repubblica turca. Il patriarca ha apprezzato: “ci è stato offerto un ramoscello di ulivo, non possiamo ignorarlo”.
Ma già da qualche hanno il tabù è stato messo in discussione, si commemora il 24 aprile – data che segna l’inizio delle deportazioni – e si parla di genocidio in completa libertà. La minoranza armena – oggi cinquantamila persone – continua a preservare il proprio patrimonio culturale e identitario, ormai trova collaborazione e non più ostilità da parte dello Stato.
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