Su "Pubblici infortuni" di Alessandro Piperno
Creato il 19 gennaio 2014 da Michelam
Ci sono foto in cui appare col
volto pulito e sottile, lo sguardo serio che sembra fissare un
altrove, occhiali dalla montatura leggera che fa tanto
intellettuale, giacca e (spesso) cravatta, ora un po' dandy ora un
po' scholar. Ma in certi scatti lo si incontra più casual,
sorridente e dolce, con un che di bambino anche. Alessandro
Piperno ci mostra, insomma, un “doppio volto” nelle immagini
in posa o rubate; un “doppio volto” che riconosciamo quando
leggiamo in Pubblici infortuni (Mondadori, 2013) che è
favorevole alla «vituperatissima torre d'avorio, purché ovviamente
fornita di telefono e di ascensore» (come raccomandato da
Nabokov), a cui aggiungerebbe, però, «un buon tabacco da pipa, una
bottiglia di Oban, una scorta di Nutella e qualche cofanetto dei
“Simpsons”». Alessandro Piperno è, dunque, per lo meno un
bi-verso. Cosa di cui si è già accorto chi ha letto gli
articoli oltre alle opere narrative dello scrittore romano classe
1972, ormai celebre quanto discusso (da me stimato) autore dei
romanzi Con le peggiori intenzioni, Persecuzione e
Inseparabili (tutti pubblicati per i tipi Mondadori
rispettivamente nel 2005, 2010 e 2012).
È nota la prosa sofisticata
delle sue fatiche letterarie; nei contributi apparsi su testate
varie (dal «Corriere della Sera» al «Sole 24 Ore» a «Nuovi
Argomenti») lo stile è, invece, di una comunicatività e fluidità
rare (il perfetto contrario della “maniera Arbasino”, per
intenderci). È uno stile «leggero e vagante» (parafrasando Saba),
innestato su una prosa morbida, alimentata dall'esperienza dello
scrittore DOC oltre che dalle conoscenze del docente di letteratura
francese di Tor Vergata. Uno stile cattivante e moderno, colloquiale,
intriso di un senso dell'umorismo ora diffuso ora concentrato in
battute, che sentiamo tanto appartenere al Piperno a cui capita di
essere inseguito da un pazzo pacifista per le sue dichiarazioni
anti-guerra in Afghanistan, di essere schiaffeggiato da un
concorrente a un premio letterario (anche) per la sua faccia da
ebreo, di svenire davanti al pubblico accorso per lui a un festival
canadese.
Perché questo è il letterato
che incontriamo in Pubblici infortuni: un
letterato che è un autentico umanista, che ha imparato a venire a
patti non con sé stesso (o verrebbe a mancare l'humus per
la scrittura), ma con la contemporaneità sgraziata e avvilente
con cui a tutti tocca fare quotidianamente i conti, con gli
entourage feroci, ipocriti e non di rado volgari degli
ambienti letterari che trasudano invidia, con la sciatterìa della
comunicazione massmediatica, e anche – eh sì – col marketing e
col mercato editoriale.
In effetti, questo libretto che
per lo stesso Piperno è «indefinibile» e che, sempre a dar fede
alle sue parole, è quanto di più vicino a un libro di mémoires
lui sia in grado di scrivere, è in gran parte il frutto della
rielaborazione di pezzi già apparsi su riviste e quotidiani.
Articoli rielaborati e riordinati, come si evince anche solo dalla
struttura circolare del testo, il cui senso, tuttavia, non mi
convince pienamente. Mi aspetterei dunque (in effetti, se mi leggerà,
glielo sto chiedendo) un libro di mémoires più articolato e
ricco come quello che solo un umanista può scrivere: mémoires
in cui arte e vita si intreccino l'una con l'altra, e dove si sa bene
che tutto è letteratura.
Nonostante questi – a mio parere
– limiti dell'esperienza, mi sento di consigliare la lettura di
Pubblici infortuni e proprio perché viviamo in
questo tempo. Piperno è l'esempio dell'autore-studioso che ha
trovato una modalità efficace per parlare seriamente di letteratura
riuscendo a essere compreso da un pubblico ampio di lettori,
catturati dall'agilità, dal brio, dal tono quasi scanzonato di una
scrittura giocata su ironia e auto-ironia. Un esempio (cui magari
qualcuno dovrebbe o potrebbe ispirarsi) di come si possa parlare oggi
di arte e del suo legame con la vita.
La letteratura è cosa seria, per
Piperno, e proprio in quanto «beffa, ironia, mistero», e perché
«vendetta contro la vita», oltre che fonte di quel piacere unico
che nasce dall'identificarsi con i personaggi e le loro storie, che
non ci si può limitare a dissanguare e dissezionare su tavoli
anatomici come si ostinano a fare critici più o meno assolutistici o
accademici compulsivamente iper-certosini. Di certo, per il
nostro, la letteratura non è l'edulcorame civil-sentimentale intriso
di presunti messaggi universali e politicamente corretti di cui
abbonda molta trasandata produzione contemporanea.
Peccato solo quella ricerca
bulimica di amore e approvazione che divora gli autori... Se così
non fosse, la scrittura potrebbe davvero essere “solo” un
«pubblico infortunio» da viversi con eleganza e sereno distacco.
“Infortunio” perché, come scrive il Philip Roth amato da Piperno, «inventarmi biografie
false, storie false, architettare un'esistenza semi-immaginaria a
partire dal dramma reale della mia vita è la mia vita», cui segue,
se va bene, la pubblicazione. Ma non forse anche perché,
ironicamente, l'essere messo in mostra è (a volte) un infortunio in
sé? Rimane che, nella prospettiva umanistica che impregna il
beffardo e tragico mistero dell'arte, vale sempre la pena scrivere.
Percorrendo esperienze personali
chissà se reali e viaggi critici nelle opere di Proust, Kafka,
Roth (Philip), Bellow, Fitzgerald, Flaubert, Pubblici infortuni
ci introduce insomma a un umanesimo moderno.
Ecco perché io consiglierei il
libro a mio figlio se fossi un genitore, ai miei studenti se fossi
un'insegnante, così come a recensori e a critici letterari. Pubblici
infortuni manca della
concentrata intensità che sfida l'intelligenza. Ma Piperno lo sa
bene. Lui semplicemente scrive e, così facendo, avanza una proposta.
A me pare sia il caso di valutarla oltre che di utilizzarla al
meglio.
E pensare che tutto cominciò
quando, sempre a prestar fede all'autore, in seguito alla prima
delusione amorosa che lo indusse a un digiuno da dolore acuto, invece
di un abbraccio consolatore l'adolescente Alessandro ricevette da suo
padre un libro. Il suo titolo era Il segreto. Il protagonista
di quel libro “era” Alessandro.
Ma non è per questa via tutta
emotiva che ci si innamora della letteratura?
(già qui: http://www.sulromanzo.it/blog/pubblici-infortuni-di-alessandro-piperno)
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