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Sua Maestà l’agnolotto regna ancora sulle nostre tavole

Creato il 17 luglio 2011 da Lapulceonline

agnolotti, agnolotto, pastaMa non hanno ancora conquistato i palati degli alessandrini stranieri.

Forse ha un po’ perso il suo ruolo di “simbolo” della Festa, magari perché le feste hanno perso il sapore sacrale che le ha da sempre contraddistinte nella tradizionale civiltà contadina, ma per ogni piemontese sua maestà l’agnolotto è e rimane il piatto imprescindibile di un pranzo che si rispetti. Incerta l’origine del nome, anche se lo si fa in genere derivare da quello di un cuoco monferrino: Angiolino, detto Angelot.
Secondo la tradizione infatti fu lui che codifi cò la ricetta tradizionale che, a differenza di numerose altre specialità analoghe sparse per il belpaese, vuole il ripieno – rigorosamente racchiuso dalla sfoglia sottile con pasta all’uovo – a base di carni arrosto, ottenute magari riutilizzando parti meno pregiate, come accade per esempio nei colli tortonesi dove la tettina – la mammella delle bovine – era alla base. Il legame con l’arrosto, infi ne, è consolidato dall’utilizzo del sugo di arrosto come condimento della tradizione, anche se non mancano altri modi di servire questo piatto: in brodo, col ragù, burro e salvia o ancora – sempre più di rado ormai – a “culo nudo” o con il vino. Gli agnolotti al vino, in particolare, hanno sempre rivestito un posto di rilievo nell’utilizzo di questi piccoli prodigi della gastronomia piemontese. Serviti bollenti, nello stesso vino rosso che si beve a tavola, erano infatti molto apprezzati, tanto che anche i ristoranti della tradizione oggi tornano ad offrirli ai loro clienti per un assaggio affatto sgradevole.

Alessandra Bertucci, Pastificio Piemontese

Alessandra Bertucci, Pastificio Piemontese

Ma quando e “quanto”, oggi, si usano gli agnolotti? Per scoprirlo ci affidiamo ad un esperto, Alessandra Bertucci, professione, manco a dirlo, “impastatrice di agnolotti”. E non solo. Da più di vent’anni, esattamente dal 1989, ha preso in mano (e come altrimenti?) il pastifi cio di famiglia, quello Piemontese di via Guasco, aperto otto anni prima. “Non Anloti Foci a Man ho ereditato solo un’attività, ma dei veri e propri segreti”, quelli delle ricette, che non ci svelerà, delle sue paste fresche, ma soprattutto di quelle ripiene, tra ci il mitico agnolotto. “La ricetta che utilizziamo è quella di famiglia, tramandata alla vecchia maniera”, ma attenzione: qui non si fa l’agnolotto piemontese, ma quello alessandrino. “Cambia il ripieno – ci spiega – e sono le dosi che fanno la differenza”. Nessun ingediente strano, solo un “tocco” particolare, che fa dell’agnolotto l’agnolotto del Pastificio Piemontese.
È Alessandra a raccontarci l’evoluzione di questo piatto tipico: “Non vengono solo gli anziani a comprarlo, ma anche molti giovani”, magari quelli che non hanno una nonna cuoca. Pochi, però, gli stranieri che osano provarlo, “solo qualche nord europeo, ma entrano raramente”. L’articolo viene venduto in quantità maggiori nel fine settimana, per il tipico pranzo domenicale o per un sabato sera in famiglia (o tra amici amanti della cucina); “ma questo – continua – “è il periodo in cui le vendite calano, a causa della stagione. Se il caldo “affloscia” le vendite, non si può dire la stessa cosa della nomea dell’agnolotto che, secondo chi ci lavora ogni giorno, “rimarrà per sempre uno dei piatti tipici non solo della nostra città, ma anche d’Italia. Impossibile che venga sostituito”. Al massimo innovato, reinventato, modernizzato. Con l’aggiunta di qualche ingrediente: “Molto prima di Giovanni Rana, vendevo già gli agnolotti al cioccolato, ricoperti con una sottile sfoglia di pasta al cacao e il ripieno di ricotta bovina fresca, cioccolato fondente, zucchero di canna, panna, baccelli di vaniglia. Da provare”. Per i più classici e meno arditi, questo è il periodo giusto per buttarsi sugli agnolotti dal ripieno decisamente estivo: carciofi, asparagi, erbette.


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