L'interscambio tra Italia e Turchia si è attestato - nel 2012 - poco al di sotto dei 20 miliardi di dollari, in lieve calo rispetto al record assoluto - circa 22 miliardi - registrato l'anno precedente; le esportazioni italiane in Turchia sono però rimaste invariate con circa 13 miliardi e mezzo di valore, mentre le esportazioni turche in Italia sono scese del 18%: la bilancia commerciale è quindi largamente positiva, per 6 miliardi e mezzo. In più, sono aumentati del 57% gli investimenti - in totale, 161 miliardi di dollari - e le imprese italiane sono ormai quasi mille. "Pur nelle difficoltà della crisi globale, ci sono motivi che ci inducono a pensare positivamente": così ha commentato questi dati l'ambasciatore Gianpaolo Scarante, aprendo giovedì 7 febbraio a Istanbul - nella splendida cornice di palazzo Venezia, già rappresentanza della Serenissima - l'incontro col mondo imprenditoriale italiano in Turchia; un appuntamento ormai istituzionalizzato - e ripetuto nel corso dell'anno - per fare bilanci e tracciare prospettive, per illustrare i servivi offerti e le iniziative lanciate dall'ambasciata, per fare sistema.
"Il rapporto tra Italia e Turchia è sano e virtuale, fondato su di una complementarietà economica oggettiva" - ha continuato Scarante. Questo rapporto è nato sostanzialmente 50 anni fa, ad opera dei grandi gruppi italiani - come Fiat e Pirelli - che hanno fattivamente contribuito all'industrializzazione e alla modernizzazione della Turchia. Oggi sono particolarmente attive - con un ruolo di primo piano - le imprese del settore infrastrutturale: come la Astaldi che ha costruito un'autostrada e il ramo sulla sponda asiatica di Istanbul, che sta costruendo il terzo ponte sul Corno d'oro (su cui passerà la nuova metropolitana sulla sponda europea), che costruirà il terzo ponte sul Bosforo; e stanno arrivando moltissime imprese di piccole e medie dimensioni, la grande novità degli ultimi anni: vengono incentivate da condizioni favorevoli, "dalla gamma molto ampia di opportunità", dalla possibilità di sfruttare il paese come trampolino di lancio verso i mercati dell'Asia centrale del Medio oriente, dal fatto che in Turchia "si crede nel futuro".
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