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Sugli esopianeti c’è un clima pazzo

Creato il 12 marzo 2015 da Media Inaf

ChaoticResonancePlanets04Se un giorno dovessimo trovarci a vivere su un pianeta al di fuori del Sistema Solare, è probabile che potremmo trovare un clima un po’ pazzo, e questo a causa di qualche movimento orbitale insolito. Una nuova ricerca firmata da Rory Barnes, astronomo dell’Università di Washington (e pubblicata su The Astrophysical Journal), descrive possibili sistemi planetari in cui un “colpetto” gravitazionale potrebbe avere un effetto devastante sulla orbita e sul clima di un altro pianeta vicino e possibilmente abitabile.

L’entità del caos climatico può variare ampiamente in base all’orbita dei pianeti, che possono rimanere circolari o prendere invece – all’improvviso – una forma ellittica e allungata tanto da metterli a rischi di scontrarsi con la propria stella madre, il che sarebbe davvero un cambiamento climatico drammatico oltre che distruttivo. E’ noto che buona parte delle caratteristiche climatiche di un pianeta sono condizionate dall’orbita e dalla vicinanza, o lontananza dalla stella madre. E proprio l’orbita di un esopianeta potrebbe essere talmente tanto bizzarra da inibire addirittura la vita o renderlo improvvisamente sterile, semmai su quella terra fosse apparsa la vita a un certo punto dell’evoluzione.

Lo studio del team guidato da Barnes si è soffermato in particolare su un effetto chiamato mean motion resonance (risonanza di moto medio), un particolare tipo di risonanza orbitale che può causare instabilità e portare letteralmente all’espulsione dal sistema di uno dei corpi coinvolti. Questo effetto entra in gioco quando i periodi orbitali di due pianeti sono in un rapporto di numeri interi. Nel corso di milioni di anni, quindi molto lentamente, le forze gravitazionali hanno influenza le orbite dei corpi attorno alla stella. Questo può accadere anche a un pianeta che si trova all’interno della zona abitabile del sistema planetario (cioè dove l’acqua esiste allo stato liquido e dove potrebbe esistere la vita) e che all’improvviso subisce un tilt, un cambio drastico della sua orbita, che può durare anche milioni di anni. Barnes ha definito questi pianeti “terre caotiche” il che non li rende dei perfetti candidati per ospitare (o per aver ospitato in passato) forma di vita di qualsiasi tipo.

Si può parlare quasi di “bullismo planetario” o di “prepotenza orbitale”, soprattutto quando si presenta un’altra condizione studiata dagli esperti, l’inclinazione reciproca, il che significa che le orbite dei due pianeti sono quasi perpendicolari l’una rispetto all’altra. Nel nostro Sistema solare non si verifica questo fenomeno, perché i pianeti si trovano tutti sullo stesso piano nello spazio (per questo sono chiamati complanari) ed è una caratteristica che non si ripete in tutti i sistemi planetari . Per studiarli Barnes e i suoi colleghi hanno deciso di ricreare questi tilt orbitali al computer. «E quello che abbiamo trovato è che tutto viene sconvolto. Quelle piccole perturbazioni che si verificano nel corso del tempo sempre allo stesso punto causano dei cambiamenti pazzeschi all’orbita, che può anche capovolgersi completamente, per poi tornare dove era prima. E’ stato abbastanza inaspettato per noi», ha spiegato il primo autore dello studio.

Non è detto che questi pianeti siano inabitabili o che non lo siano mai stati, soprattutto perché questi cambiamenti gravitazionali possono essere talmente tanto lievi da non determinare uno sconvolgimento orbitale tanto drammatico. Al contrario, se questi tilt fossero influenti tanto da cambiare per qualche secolo il clima del pianeta, beh, sarebbe meglio che gli astronomi cerchino altrove dei pianeti extrasolari abitabili.

Conferme o novità su questo campo di studi in futuro potrebbero venire dal James Webb Space Telescope, tanto potente da determinare fra qualche anno la composizione delle atmosfere degli esopianeti.

Per saperne di più:

Leggi lo studio su The Astrophysical Journal: “Long-lived Chaotic Orbital Evolution of Exoplanets in Mean Motion Resonances with Mutual Inclinations”, di Rory Barnes, Russell Deitrick, Richard Greenberg, Thomas R. Quinn, Sean N. Raymond

Fonte: Media INAF | Scritto da Eleonora Ferroni


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