Li vedi aggirarsi per le strade di Varanasi, a piedi nudi, incuranti dei rossi sputi di paan o delle feci di vacca che che macchiano l’asfalto. Il cavallo dei pantaloni di cotone gli arriva sotto le ginocchia, gli Ali Baba pants sono quelli che costano meno e ogni turista se ne porta a casa almeno un paio, e una cannottiera slavata porta il simbolo dell’Om, quel suono che se ripetuto abbastanza ti permette di raggiungere il nirvana. Lo diceva Buddha, o Krishna, o Shiva, uno di quelli, non importa, non è questo il punto fratello. Shanti, shanti, ti dicono. Pace.
Sono loro, gli hippie, quelli venuti in India a cercare qualcosa che India non ci è mai stato e non è chiaro perché qui dovrebbe trovarsi: sé stessi. Il ciruito è sempre lo stesso: arrivi a Delhi, con le scarpe, poi sali a Rishikesh, per lo yoga, poi scendi a Varanasi in cerca della benedizione di un baba, ossia un uomo vestito di arancione. Di solito l’itinerario continuerebbe, ma Varanasi è un luogo mistico, magico, shanti shanti, fantascientifico, star trek, e finisci per starci tre mesi. Che costa poco poi le canne sono buone.
In questa costante ricerca dell’io perduto capitano sul Gange, questa potenza della natura venerata come un Dio, ma utilizzata come una discarica. E in quest’aria densa di polvere, a pochi passi dal caos cittadino si notano quegli anziani seduti sulle scalinate, all’alba, che del rumore costante dell’India non si curano, ascoltando solo il silenzio interiore in meditazione. Ci sono le donne arrivate dal sud, che si inzuppano ripetutamente, per purificare sé stesse e tutti i parenti, nel fiume per uscirne soddisfatte, felici. Ci sono i matrimoni sulle piccole barche di legno, che indicano che questo è luogo speciale, per forza. Ma soprattutto, ci sono i morti. I morti che bruciano lanciando al cielo una colonna di fumo grigio, per essere poi lasciati nell’acqua nella certezza di un viaggio verso un posto migliore. Ci sono tutte le storie, le leggende, e gli hippie che parlano ad altri hippie di questa sconvolgente energia, di come l’amore sia la cura ad ogni male, di come gli indiani abbiano capito tutto. Il segreto, la soluzione, la luce è qui. Nel Gange.
E così gli hippie una mattina si staccano dal Wi-Fi intermittente della guesthouse da 200 Rupie, camminano fino ai Ghat che scendono sul fiume e finalmente si liberano di questo disagio causato dalla pressione che la società capitalista e consumista del nostro tempo ha messo sulle loro spalle, distraendo loro da ciò che è la verità quella vera istigando desideri materiali che sono solo un’illusione di felicità. E quindi si tuffano. A bomba. Loro tra i pellegrini arrivati da tutta l’India. Riemergono sorridenti, completi. Sono liberi. Si sono trovati. Poi tornano. Tornano con la barba lunga e ti raccontando l’esperienza ultraterrena. Le malattie non esistono. Se le sono inventate le case farmaceutiche per convincerti che stai male così ti vendono le medicine. La morte non esiste. Anche questa è un’invenzione di Franco Aspirina. Non c’è oggi, non c’è domani, solo il presente. Le bollette non esistono, sono immaginarie. La fila alle poste non esiste, se solo tu e la tua aura, le altre persone sono un riflesso del tuo disagio. E così via.
E tu gli dici va bene, va bene amico, sono felice che ti sei trovato, ci sono anche qui tanti fiumi se ti vuoi tuffare. Ma no, neanche i fiumi esistono. Esiste solo il Gange. La madre di tutto. Oltre ad essere la madre di tutto quella sulle rive del Gange è una delle regioni più popolate al mondo. Qui vivono oltre 10 milioni di persone, numero che dipende a seconda di quanta terra si decida di includere nella regione, e la maggior parte di queste utilizza il Gange per lavarsi, fare il bucato e, data la comune pratica indiana della defecazione a cielo aperto, come bagno pubblico. Si dice che circa un miliardo di litri di merda vengano versati nel Gange ogni giorno e si prevede che questo numero raddoppi nei prossimi 20 anni. Solo a Varanasi vengono bruciati tra i 300 e i 400 cadaveri, i cui resti vengono poi rilasciati nel Gange, ma questi non sono gli unici corpi che qui finiscono. Carcasse di animali, mucche che muoiono sulle sue rive e anche i corpi di bambini illegittimi vengono portati via dall’acqua. Uno studio del 2006 ha rivelato che per ogni 100 millilitri di acqua del Gange ci sono 100.000.000 di batteri fecali. Un numero considerato 3.000 volte superiore a quello sicuro dalla World Health Organization.
Se l’acqua del Gange non è considerata buona neanche per l’agricoltura (mentre la gente ci si lava i denti) però non è solo colpa delle azioni quotidiane. Dato il boom economico dell’India negli ultimi anni centinaia di fabbriche si sono posizionate sulle sue rive con tutti gli scarichi rivolti nella stessa direzione. Il peggiore tra le decine di agenti chimici che vengono rilasciate nel fiume è sicuramente il cromio che rende il Gange avvelenato e qui si trova in misura superiore di 70 volte del livello massimo raccomandato.
Ma quindi, se il Gange è così inquinato e questi indiani non si ammalano mai deve essere magico per forza! Per capire meglio come l’acqua del Gange influisce sulla vita di chi lo abita il primo esempio è quello della vita marina: nel Gange c’è una forte mancanza di ossigeno e in alcuni punti, tra cui il fiume Yamuna, il primo affluente del Gange, non esiste più neanche un pesce. I pochi pesci rimasti hanno accumulato livelli di mercurio tali da essere immangiabili. Il Gange è oggi la prima causa di mortalità infantile nella regione che lo circonda, oltre ad essere colpevole dei molti problemi alla pelle. L’analisi del 2006 ha dimostrato il collegamento tra i bagni nel Gange, il lavarsi i denti e la pulizia delle stoviglie con l’incremento di disstenteria, colera ed epatite. L’Indian Council of Medical Research ha rivelato nel 2012 che che le persone che vivono lungo le sue sponde in Uttar Pradesh, Bihar, e Bengal hanno una probabilità molto più alta rispetto al resto della popolazione di prendere il cancro. Il Gange è considerato il nettare degli Dei. Shanti shanti.