Sui suggerimenti e dintorni

Da Marcofre

Come ci si deve comportare con i suggerimenti che gli altri regalano alla nostra storia? La mia posizione è di accettarli: non sempre ma spesso sono azzeccati.
Non esiste il rischio di snaturare la storia, anzi.
Di solito agli inizi dell’avventura nella scrittura, l’autore ha un atteggiamento del tipo: “Ehi, la mia storia va bene così. È perfetta. Devi solo darmi ragione”.

Questo è il pensiero numero uno nella testa di chi per esempio si vanta di aver scritto un romanzo in trentadue giorni. Ma anche coloro che ci impiegano di più non ammettono che ci sia da spostare una virgola, cambiare il titolo del racconto, riscrivere l’incipit.
State sbagliando un mucchio di cose, sul serio.

Per prima cosa: nessuno vi obbliga a scrivere e neppure a sottoporre la vostra opera a chicchessia. L’avete terminata? È un capolavoro? Auguri, Amazon è lì apposta. Una giornata per imparare per filo e per segno come convertire, caricare. Poi una settimana o più per disegnare la copertina, e nel giro di un mesetto o due, o forse tre, siete pubblicati.
Ma dopo che sottoponete l’opera al giudizio di qualcuno, siete in ballo: perciò ballate.

Se non accettate critiche o suggerimenti non sapete un accidente di letteratura. Che è fatta di riscritture della durata di anni a volte, di suggerimenti, di critiche.
Tolstoj si faceva consigliare da sua moglie: siete meglio di Tolstoj? In questo caso: sentite le risate? In mezzo da qualche parte, c’è pure la mia.

C’è un problema; che però è un falso problema. Si dice: se uno accetta tutte le critiche e i suggerimenti, non sa scrivere, è in balia di questo o di quello.

Più di una volta ho scritto su questo zoppicante blog che un autore deve avere da qualche parte un aggeggio chiamato “testa”. Se è pure funzionante è una buona cosa, restituirlo intonso al Padreterno non vi regalerà l’ingresso gratuito perpetuo al parco dei divertimenti “Settimo Cielo”.
Di solito, un editore col fiuto (ce ne sono pochi), è a caccia di gente di questo calibro.

Perché è utile un cervello funzionante? La domanda, se per caso vi frulla nella testa, o in qualunque altra cavità anatomica, mi inquieta un po’, ma cercherò di rispondere.

Se fate lavorare i neuroni, sarete approdati a un’idea di narrativa ben precisa. Sarà il frutto di letture spesso non alla moda; non che sia sempre male. Io leggo Stephen King. Però mi piace bazzicare nella letteratura islandese, svedese, frequentare Halldòr Laxness, Goran Tunstrom. Quando pronuncio questi nomi, attorno a me è come se esplodesse una bomba atomica: si crea silenzio e vuoto.

Non è solo il desiderio legittimo di percorrere sentieri poco battuti.
Ma perché la loro scrittura, distante dai canoni della letteratura che vende (perché se non vendi non sei uno scrittore), aiuta a capire che la partita si gioca su altri livelli. Aiutano a inquadrare la posta in gioco.

L’autore, se ha talento e la materia grigia in forma, inizia anche a elaborare una sua personale visione della letteratura. Ciascun autore è diventato tale perché ha cresciuto e coltivato la propria voce, per dare linfa e vita a quella precisa visione della letteratura.

Se e quando arriveranno critiche e suggerimenti, non troveranno il deserto. Ma un ecosistema sviluppato, vivo e vitale, capace di accogliere e argomentare. Difendere e contrattaccare. Accettare e respingere. In uno scambio di idee e anche gagliarde (o violente?) discussioni su come deve essere questo passo, o quel paragrafo.
Siccome i bravi critici sono rari, quando verranno fate in modo di farvi trovare preparati.


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