di Michele Marsonet. I commenti entusiastici sulle ultime uscite di Papa Francesco sono così numerosi da indurmi a credere che una piccola manifestazione di perplessità sia, in fondo, giustificata. Il pontefice che viene “dalla fine del mondo”, come egli stesso ha definito l’Argentina, suo Paese natio, continua a spron battuto sulla strada intrapresa sin dal primo giorno quando, appena eletto, parlò alla folla radunata in Piazza San Pietro usando parole semplici e frasi senza fronzoli. Per rimarcare subito che non si sentiva una persona speciale, bensì un fedele fra tanti, arrivato quasi per caso al vertice della Chiesa cattolica.
La semplicità, tuttavia, non è necessariamente abbinata alla vaghezza. Eppure è proprio questa l’impressione che chi scrive – e molti altri – ricevono sentendolo parlare.
Già si sapeva che Jorge Bergoglio, a differenza dei suoi predecessori Karol Wojtyla e Joseph Ratzinger, non è teologo né filosofo. Preferisce la dimensione pastorale a quella teologica e, fin qui, nulla di male. Altri Papi prima di lui avevano la stessa attitudine, e penso che l’alternanza tra queste due tipologie di pontificato sia del tutto naturale.
Però la vaghezza eccessiva può essere pericolosa se a manifestarla in continuazione è il capo della Chiesa. Credo che tutti rammentino l’impressione negativa destata da alcuni dialoghi “teologici” tra l’attuale Papa ed Eugenio Scalfari. Il fondatore di “Repubblica” venne accusato di aver frainteso le parole dell’ex cardinale di Buenos Aires, ma poi si scoprì che invece Scalfari le aveva capite benissimo, e che il suo giornale si era limitato a fornire un resoconto tutto sommato fedele dei dialoghi.
Negli anni giovanili, da studente, Jorge Bergoglio era un simpatizzante di Peròn. Un giorno entrò in classe esibendo il distintivo peronista appuntato sulla giacca. Ammonito dall’insegnante, lo fece anche il giorno seguente buscandosi una sospensione. E, pure in questo caso, nulla di male. A quel tempo, in Argentina i peronisti erano tantissimi (e sono rimasti tanti anche ora).
Il problema è, a mio avviso, che la vaghezza dello spirito peronista, quell’insistere nel cercare una terza via tra socialismo e capitalismo senza peraltro specificare bene i suoi contorni, si ritrova pari pari nei discorsi di Francesco.
Franco Cardini ha scritto di recente che il merito principale dell’attuale Papa è aver scosso l’indifferenza che era sul punto di sommergere la Chiesa, rendendola un’entità marginale nel mondo contemporaneo. Per questo Jorge Bergoglio vuole che essa diventi davvero universale, schierandosi senza timore con gli ultimi e con i poveri. “Fino a quando – aggiunge Cardini – la Chiesa dei Bagnasco e dei Bertone e quella dei Don Gallo e degli Enzo Bianchi avrebbero potuto convivere?”. Di qui la battaglia intrapresa contro i cosiddetti “curiali”.
Dal punto di vista politico – più che pastorale – la strategia si capisce e, ovviamente, con essa si può concordare o meno. Qual è però il fine ultimo della suddetta strategia? Mi sbaglierò, ma nei discorsi del Papa percepisco spesso, oltre agli echi peronisti, anche quelli della celebre “teologia della liberazione” che proprio in America Latina nacque e prosperò nella seconda metà del secolo scorso.
Nel frattempo ha pubblicamente criticato “Comunione e Liberazione” accusando i suoi membri di “autoreferenzialità”. Accusa sorprendente, se si pensa che CL – simpatici o meno che siano i suoi attivisti – è il movimento cattolico più presente in ambito scolastico e universitario, nonostante sia apertamente osteggiato dall’estrema sinistra in tutte le sue varie manifestazioni.
E, sempre nel frattempo, non mi pare che analoghe reprimende siano state rivolte a sacerdoti che organizzano, addirittura all’interno delle loro parrocchie, incontri per trovare candidati anti-renziani alle primarie del Partito Democratico. A me sembra che convocare riunioni di quel tipo nelle chiese sia, quanto meno, anomalo.
Mi si permetta, in conclusione, di non condividere il grande entusiasmo che da più parti viene espresso per lo stile di questo pontificato. Certo il Papa è molto popolare. Anche perché, a dispetto della sua presunta ingenuità, fa un uso sapiente dei mass media e trova sempre il modo di collocarsi al centro dell’attenzione. Ultimo – e assai significativo – episodio è il cenno alla “sensazione” che il suo mandato sarà breve.
Che dire ancora? I critici sono in minoranza e gli entusiasti abbondano, pure nel novero dei non credenti. Forse perché Papa Francesco coglie assai bene lo spirito del nostro tempo, lo segue e lo incoraggia. Essere vaghi aiuta ed evita prese di posizione impegnative. Si tolleri, dunque, anche qualche giudizio discordante come quello espresso in questo articolo.
Featured image, il grande papa Francesco.