Suicidio per perdita del lavoro

Creato il 09 gennaio 2012 da Massimoconsorti @massimoconsorti

Se ne era avuta la percezione nel 2009. Le statistiche dei numeri freddi avevano lanciato un segnale d’allarme che nessuno prese in considerazione. Anche in questo caso un numero o, meglio, una percentuale: 5,6% in più rispetto al 2008. Niente pil, niente ratei d’interesse, niente spread, nessuna lievitazione dei costi delle farfalline di Berlusconi né delle fregnacce di Brunetta ma suicidi, solo suicidi. A parte le morti per disperazione da solitudine senile, da turbe psichiche, da effetti collaterali di campi magnetici, quello che risaltava chiaro come il sole era il fatto che la media di età di coloro che decidevano scientemente o meno di togliersi la vita, si stava pericolosamente abbassando. Perfino la tipologia delle morti stava subendo una modificazione, non più la canna del gas né un’overdose di ansiolitici o di psicofarmaci tout court tipiche dei pensionati, ma impiccagioni, tuffi in acque fredde, colpi di pistola alla tempia, automobili invase dal tubo di plastica dell’ossido di carbonio, schianti contro i muri di utilitarie lanciate a tutta velocità, a conferma che il crash test della Fiat continua a dare pessimi risultati. All’inizio furono gli operai, i cassintegrati, i co.co.co. senza rinnovo del contratto di lavoro, i licenziati, gli indebitati fino al collo magari in mano ai cravattari, giovani senza futuro né prospettive che di lì a poco sarebbero entrati nella categoria dei “né-né”. Poi sono arrivati gli imprenditori (ed è storia recentissima) che non si suicidano più perché hanno dilapidato il loro patrimonio a poker o su uno yacht con la escort extra-lusso, ma perché non riescono, a causa della crisi, a pagare gli operai dopo aver ipotecato perfino il fondaco. La soluzione “suicidio” è diventata in qualche modo la più facile e percorribile, un amen e i problemi del suicidante scompaiono all’improvviso, che poi restino quegli degli operai e degli eredi, a chi compie un gesto così estremo può fregare di meno. Si dice che quanto sta accadendo in Italia, sia suppergiù riscontrabile in altre parti del mondo coinvolte con il default della Lehman Brothers. Gente abituata a un certo tenore di vita all’improvviso si è ritrovata con le pezze al culo e nessuno disposto a dargli una mano. Perfino le banche, fino all’altro ieri disponibili a fidi e prestiti a tassi da semi-usura, chiudono i rubinetti per cui, se non ti chiami Verdini e non fai parte di nessuna cricca, non solo non ti prestano più i soldi ma ti chiedono il rientro immediato di quelli che ti hanno dato, perché le rate che fino a quel momento hai versato sono state sufficienti a pagare solo gli interessi e non hanno intaccato il conto capitale. Più simili agli strozzini che a un istituto di credito, le banche hanno ricevuto sostegni inimmaginabili da quasi tutti gli stati (Usa compresi), proprio per tornare a far circolare il denaro ma, non essendo un ente di beneficienza né di assistenza, le stesse banche hanno provveduto a rimpinguare le loro casse svuotate da speculazioni sbagliate e dall’acquisto di bond taroccati, e fanculo i risparmiatori e i piccoli e medi datori di lavoro. Insomma non ci si suicida più per amore o per estrema tensione ideale. La base esistenziale sulla quale poggiava il romanticismo che accompagnava un gesto irreversibile è cambiata all’improvviso. L’enfasi che, nonostante tutto, il suicidio di un idealista disilluso si portava appresso faceva comunque parte del tessuto sociale dei sognatori. Quando Mario Monicelli si è buttato dalla finestra dell’ospedale, la disperazione che aveva nell'anima non era paragonabile in nulla a quella dell’imprenditore del nordest né del concessionario di auto di Catania, anche se di disperazione si poteva, e si può, parlare in tutti e tre i casi. Per la cronaca nera un suicidio non è paragonabile a un omicidio. Viene liquidato con un trafiletto di poche righe e non assurge alla gloria degli schermi televisivi né a titolo di testa di una trasmissione di Salvo Sottile, tutt’al più viene relegata fra gli appelli di Chi l’ha visto se il corpo non si trova dopo le prime quarant’otto ore dalla scomparsa. Il suicidio di un operaio licenziato, di una ragazza fatta fuori dal call center, di un cassintegrato non in grado di pagare più le rate del mutuo della casa non interessano ai mass media, non fanno vendere copie di giornale in più, non fanno aumentare lo share. Se un imprenditore muore suicida non viene accompagnato dall’umana solidarietà ma dal disprezzo dei suoi colleghi che lo considerano uno sciocco per non essersi fatto il castelletto in Svizzera. Questo paese non ha solo bisogno di ri-alfabetizzarsi in termini puramente culturali, ha il bisogno estremo di ritrovare un tessuto umano che la crisi ha infeltrito e che l’accanimento contro i poveri, i pensionati, il ceto medio basato sul “modello Unico” sta lacerando definitivamente. Ci piacerebbe sapere se il professor Mario Monti, degno erede della irritante e insopportabile ironia anglosassone alla John Woodhouse, ha letto i dati del rapporto di Eures e se ha intenzione di fare qualcosa perché i cittadini di questa repubblica tornino a guardare all’oggi (e non solo al domani), con un po’ di fiducia e senso di prospettiva. A spanna ci sembra di no ma in questo, come ha detto il Professore ieri sera da Fazio in tivvù, segna una linea di continuità con il suo predecessore.


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