Splatch, splatch, splatch.
Lo sciacquettio dei miei passi nel fango mentre, ms-ufh, ms-ufh, inspiro ed espiro con ritmo regolare, cercando di superare il più in fretta possibile la zona umida; uscire da questa palude infestata di moscerini e zanzare.
Ronzano nelle orecchie, sciamano intorno al viso, davanti al naso, attirati dal vapore del mio fiato; collo e braccia indolenziti: a suon di schioccanti schiaffi, per cercare di schiacciare e disperdere la fastidiosa nube di insetti, la pelle si è arrossata, woom, woom, è calda, pulsa, costellata dai puntini scarlatti delle pruriginose punture.
Sotto il piede, terriccio solido, farinoso.
Sono entrato nella radura.
La vegetazione aumenta, s'infittisce: i primi ad accogliermi sono cespugli, piante basse, fffrrsh, frrsh; sposto con delicatezza le frasche, mi apro la strada tra il loro fruscio, cercando di fare il minor rumore possibile.
Man mano che avanzo, iniziano a comparire i primi alberi: prima un paio, poi cinque, una dozzina; mi immergo sempre più nel bosco, fino a quando gli spessi tronchi secolari non mi circondano del tutto.
Li analizzo, accarezzo la loro spessa corteccia alla ricerca di tracce.
Mi muovo di meno: l'ovattato sciabordio del tappeto di foglie è stato sostituito dallo scoppiettante crepitio dei rametti che, caduti a terra, si spezzano sotto il mio peso.
No, anzi, in ascolto.
Perché la foresta ha comunque la sua voce.
Cinguettio di uccellini, il gracchiare di predatori rapaci; l'esplosivo frastagliare dei rami e il conseguente battito sordo d'ali, sintomi di un'improvvisa zuffa aerea.
L'assordante rombo di un albero abbattuto, e in un istante il bosco tace. Muto.
Più in alto, solo la brezza che sfiora le chiome fiorite.
Il tonante urlo di battaglia.
L'animalesca chiamata alle armi.