Ascolto preliminare: Capricho Arabe
Ne ho completato la lettura da quattro giorni, ma ancora ne accarezzo le pagine, le coccolo. Stendo la mano sul libro come a proteggere il calore delle parole. Tocco il bordo tagliente della copertina con i polpastrelli della mano sinistra, quelli con i calli sempre un pò spellati. Forse somigliano a quelli di Glen Kurtz, ma non abbiamo altro in comune.
Non sono un chitarrista, io.
Mi dico “musicante” per una sorta di pudore che mi accompagna da sempre.
Il mio maestro corresse la seconda di copertina del mio Carcassi (25 studi melodici progressivi, op.60), facendo una barra con la matita e scrivendo “chitarrista” dove avevo scritto il mio nome seguito da ” – chitarra”. Diventai rosso, tornato a casa cancellai tutta la scritta e lui mi prese in giro per mesi.
Sono un di quelli che gioca e non studia, uno di quelli che Kurtz definisce “impostori”.
Però quando la sera torno a casa, se la vita e la testa me lo permettono, prendo la mia chitarra. La guardo, le tolgo un pò di polvere tra la buca e il ponticello (è come la “lanetta” sotto al letto! ma come cacchio fa a formarsi ogni giorno???), l’accarezzo, l’accordo, arpeggio un mi maggiore. Poi premo le corde con le dita, senza farle vibrare, senza produrre alcun suono. Sento la punta delle mie dita che finalmente fanno posto alle corde. Finalmente. Le mani provano la stessa sensazione che si prova quando la sera, tornando esausti a casa, ci si lascia cadere sul divano o sul letto. Finalmente. Ecco il mio posto, ecco la mia posizione, non volevo altro.
In questo libro ci sono anche momenti così. Intimi e profondi.
Racconta la storia di un artista che attraverso la musica del suo strumento mette in discussione il suo essere, fino ad arrivare a negarlo e a lasciarlo inespresso, piuttosto che cedere a compromessi.
E intanto parla di chitarre e di chitarristi, di musica e di musicisti, di quelli famosi e di quelli non famosi, della loro voglia di emergere, di quella sorta di “invidia” caratterizza i chitarristi nel momento in cui vedono qualcuno, chiunque, imbracciare una seicorde.
Racconta della fatica di amare e vivere per uno strumento. Della concentrazione, dell’ostinazione, del senso di abnegazione e della fatica necessarie per poter affrontare una giornata a lavorare su uno strumento. Un lavoro duro e pesante che spesso, molto e troppo, non è affatto retribuito.
E poi parla del ricominciare, della fatica di tenere a bada i sogni, del sapersi accontentare, dell’importanza di imparare ad aspettare e comprendere. Parla della musica che è tale, è pura, solo quando è suonata per qualcuno; aggiungendo però che quel tipo di musica finisce. Compie il suo dovere nei confronti di chi l’ascolta e di chi la suona e solo in quel momento trova la sua piena realizzazione, quindi la sua naturale conclusione.
Quando invece si studia, ci si esercita, quando con fatica si ripete trenta o quaranta volte la stessa battuta con ostinazione mista alla voglia di perfezione, quando ci si educa a diventare una cosa sola col proprio strumento, la musica non trova fine perchè è in divenire continuo. Ecco come si spiegano le nuove sensazioni provate nel ripetere all’infinito anche gli studi fatti da principiante. Col rischio poi che le tue sorelle cantino a memoria gli studi di Aguado, per dire…
Insomma, la storia di un uomo e di una chitarra, della Chitarra classica e di parte della sua musica. Ben scritta e anche arricchita da due preziosissime appendici con i consigli per l’ascolto, la lettura e lo studio (non è MAI troppo tardi per imparare a suonare uno strumento musicale!).
Un libro assolutamente da leggere, che apprezzerete soprattutto se, ma qua dovete essere sinceri, siete rimasti ad ascoltare Torlontano (il chitarrista che suona il Capricho Arabe della premessa) in silenzio, dalla prima all’ultima nota, viaggiando chissà verso dove e con chi…
“materiale” utile per la lettura:
Joaquín Rodrigo: “Invocacion y Danza” – Alirio Diaz
Villa Lobos: studio nr. 1 in Mim – Andrés Segovia
Julio Sagreras : “El colibrì” – John Williams
J.S. Bach – ciaccona – Andrés Segovia
John Wiliams: “Cavatina” – John Williams
Scott Joplin: “Weeping Willow” – Giovanni De Chiaro
Micheal Tippet: “The blue guitar” (3 mov. Trasforming, Juggling, Dreaming) – Giacomo Fiore [???]
P.S.
ehmmm… sapete quanti chitarristi servono per cambiare una lampadina? 251!
Uno cambia la lampadina e altri 250 fanno facce strane dicendo “io lo facevo meglio…”.