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Sul compleanno de “L’Italia é il Paese che amo” e sui vent’anni di Berlusconi.

Creato il 20 gennaio 2014 da Rosebudgiornalismo @RosebudGiornali

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untitleddi Giuseppe Leuzzi. “20 anni dopo\ Finzione e realtà”. “Il Fatto Quotidiano” celebra in grande, in rosso, i vent’anni de “L’Italia è il paese che amo”, il disvelamento di Forza Italia e la  “discesa in campo” di Berlusconi. Dicendo che l’evento era preparato da tempo, il che non può non essere vero. E che Berlusconi era investito da Craxi: questo invece non è vero, ma conferma che l’“uomo nero” dei disfattisti (in genere missini riciclati comunisti, il piccolo destra-sinistra della Seconda Repubblica) è sempre Craxi, anche se l’uomo è ben morto – cioè le riforme, che Craxi aveva fatto, o stava per fare e si devono ancora fare (per prima la giustizia, l’agente killer di tutte le Repubbliche).

Niente di più lontano da Craxi di Berlusconi. La capacità di decidere contro il rinvio. La capacità di fare da solo contro l’inciucio permanente. Un’idea della politica contro nessuna idea. Il pluralismo radiotelevisivo Craxi volle in omaggio alla milanesità e contro il monopolio becero – che perdura – della Rai. Berlusconi del resto, quando veniva a Roma andava da De Mita, con un pacchettino sempre infiocchettato, accompagnato da Gianni Letta – così Stefano Brusadelli lo descriveva sul “Mondo”. Ma è vero, c’è sempre da dire di Berlusconi. Che è di più della macchietta dei lanciatori di uova, sia pure giornalisti intemerati e storici di professione. E di meno di quanto lascia intendere. Confermando il personaggio del bravo venditore, persuasivo, da cui per questo bisogna guardarsi.  Migliore imprenditore che politico, poiché da politico si è lasciato ingabbiare in galera – e da chi poi, un giudice sfacciato nepotista. Anche se ha vinto tante elezioni. Compresa l’ultima. Ma qui si è chiarito che vince per la forza della disperazione: gli italiani per un quarto si sono astenuti, per un quarto hanno votato Grillo, che è la stessa cosa, e per un quarto sono tornati a votare, contro gli scandali e le condanne, Berlusconi. Doroteo d’opposizione Che si può dire per i vent’anni? Che Berlusconi non era di plastica, come si diceva. Ma che il  berlusconiano partito dell’amore è, è stato, il vecchio partito doroteo, della mediazione a fini di non fare – l’opposto delle sue roboanti promesse. Con una differenza. Con comportamenti cioè curiosamente “incrociati”, tra il Berlusconi degli affari e quello della politica: doroteo sempre in affari, accomodante, contro ogni sfida e oltraggio, anche quando il Pci-Pds gli armava contro i referendum, mentre è stato ed è divisivo in politica. Alla ricerca costante, se non alla creazione, di nemici. A partire dai suoi figli e figliocci. Più a suo agio all’opposizione che al governo, che ha avuto due o tre volte con grandi maggioranze parlamentare. Una sindrome potrebbe essere di senile cupio dissolvi, ma poi a ogni elezione, compresa quella di febbraio, si dimostra che non è. Non è una contraddizione, c’è un prima e un dopo. Berlusconi sapeva marciare come imprenditore senza nemici, mentre da politico non ha fatto che attizzare, perché dapprima è stato colonizzato, suo malgrado, da Craxi, di cui non poteva fare a meno, poi invece è finito in sacrestia, come da indole. Aveva perfino l’unica rete di tv di sinistra in Italia, Italia Uno,con lo straripante intelligentissimo “Drive In”, dove dava lavoro, visibilità e lustro all’intellighentsia, anche ai Pci, a cominciare dai vignettisti di partito, ElleKappa, Vauro, Disegi, Staino. Ma l’uomo era fondamentalmente di sacrestia, e non seppe resistere a Comunione e Liberazione quando i preti lo scoprirono. Il macellaio Draghi Che altro dirne? Più corretto di “Milano”, e vittima dei monopoli. Della giustizia, della banca, dell’informazione – eh sì: non è il “re” dei media, ne è la vittima. E di Draghi – vittima lui, in questo caso, ma ben di più l’Italia: Berlusconi ha perso il posto a palazzo Chigi, l’Italia è stata svenata da Draghi, letteralmente, come il maiale appeso al gancio. Carlo Carraro, l’economista, rettore di Ca’ Foscari, l’università di Venezia, è uno di quelli che lo dice – a Vittorio Zincone, su “Sette” del 10 gennaio: “La politica di Berlusconi non piaceva a chi detiene il potere economico in Italia. Banche, assicurazioni. Soggetti che non sono stati sfavoriti dagli interventi della Bce, che Bce e Bankitalia, invece, dovrebbero monitorare meglio”. Sarà. Il fatto è che il governo Berlusconi-Tremonti è stato silurato da Draghi. Di fretta, ancora prima cioè di arrivare al vertice della Bce. Draghi indusse il presidente cessante Trichet a inviare una lettera congiunta di licenziamento a Berlusconi-Tremonti, e la rese pubblica. Una procedura unica, talmente grave da portare Draghi all’imputazione di lesa maestà, se ci fosse ancora una politica in Italia – nonché di avere favorito una speculazione facile e assassina sull’Italia. Ma Draghi è intoccabile, anche a una semplice critica, perché è l’uomo delle banche. Dei centri del potere mediatico, che ha locupletato a costi estremamente bassi di “moneta” Bce, tali che le banche possono comodamente non fare nulla, giusto comprarsi dei titoli di Stato e lucrare la differenza. Più corretto è Berlusconi di quello che è lo standard morale di Milano: non ha derubato nessuno, non ha rovinato nessuno, e anzi ha creato molte carriere, non ha licenziato nessuno. Il contrasto su tutti questi fronti è lapalissiano col suo arcinemico Carlo De Benedetti, che invece è un pilastro della sinistra politica. Sopratutto, non ha fatto arrestare né condannare nessuno. Che non è un merito o un’opera buona, ma a Milano sì: si denunciano tutti anche non anonimamente, chi no ha ottenuto un appalto, una consulenza, una vendita, un acquisto, subito crea trabocchetti. Un milanese, si potrebbe definire, sobrio. Non lo è, ma i milanesi non lo sono, lui fa eccezione. Nella crisi, a destra Visto seriamente, al di là delle sue buffonate, e della boria dei suoi nemici, tutta gente di paradiso, anche i più fegatosi, e dei giudici di Milano, col puttanesimo: nella crisi è più facile che il popolo si affidi ai conservatori. A Berlusconi come a Bush jr., Angela Merkel, Sarkozy, Cameron, e incluso il laburista Blair. Cioè a coloro che, se non ne sono gli autori, stanno però dal lato degli agenti-attori-mestatori della crisi. Presupposti di conoscerne i meccanismi, e quindi di poterci forse porre rimedio. A una crisi in Italia dura ormai da 22 anni.

È un paradosso, e anzi un’incongruenza. È una debolezza, ma perché i nemici della crisi non hanno idee né energie. In questi sette anni ormai di crisi finanziaria aggravata, dal 2006, questa parte è la sinistra politica. Che recita il rosario e per questo si salva. Si ascolti Landini in tv, così severo e inconcludente: è l’“agente segreto” di Berlusconi.

Featured image, Berlusconi giovane.

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