Stamattina scorrendo una serie di articoli che mi ero appuntato, dagli ultimi di Stigilitz, Krugmann e Münchau, fino a quello della fondazione Bertelsmann, non ho resistito a fare uno stato cattivo su fb: “Per fortuna c’è un governo. Per fortuna che lavora per il bene del Paese, peccato solo che si tratti della Germania e non dell’Italia”. Ma fuor di battuta viviamo effettivamente in un’Europa e in un’unione monetaria che si ispira totalmente al modello mercantilistico tedesco dove austerità, blocco salariale, erosione del welfare, sono fino a un certo punto compensati dal super attivo bilancio commerciale, ma hanno come vittime designate gli altri Paesi europei che vedono parallalelamente aumentare i propri deficit e dove dunque le ricette tedesche e gli strumenti creati per renderle concrete, divengono un veleno mortale.
A Berlino sembra tornato di moda il motto dell’età di Bismarck ,am Deutschen Wesen soll die Welt genesen, vale a dire il mondo dovrebbe avere il carattere tedesco. Un motto che viene enfatizzato al massimo in tempi di campagna elettorale e che lascia pochissimo spazio di manovra al governo Letta dedito, sulla scia montiana, alla supina obbedienza a Bruxelles e Berlino. Quel poco di elasticità che si riuscirà a strappare sul deficit, non porterà praticamente alcun sollievo e permetterà solo una gestione politico – mediatica del massacro, con maquillage estemporanei per sostituire balzelli come l’Imu con altri, magari anche più iniqui.
Questo non significa però che le larghe intese siano così fragili, una volta trovata la quadra fra la demenziale demagogia di Berlusconi e dei suoi e le esitazioni ragionieristiche di Letta, molti problemi potranno essere risolti, visto che la cultura dell’austerità per molti e i profitti folli per pochi, l’idea che il welfare sia una palla al piede, che i posti di lavoro aumentino man mano che si abbassano le tutele, che la competitività sia una questione di salari, che la solidarietà sia sospetta, che i beni comuni possano e anzi vadano privatizzati, che l’etica sia soggetta alla realpolitik e al privilegio, sono un retaggio di entrambe le classi dirigenti, nativo nella destra, acquisito nel centrosinistra. Con differenze che stanno nel linguaggio e nell’articolazione, ma non nella sostanza. Così l’inciucio, non solo crea le premesse per un default finanziario a causa della caduta della domanda, ma cerca di evitarlo attraverso il default di quelle regole di civiltà del lavoro e della società che avevano fatto da propellente alla crescita nel dopoguerra.
In realtà si intendono benissimo nell’incapacità di immaginare un altro Paese e un’ altra Europa dove siano una maggiore equità, un maggior grado di tutele, una decisa lotta alla corruzione a sorreggere la domanda e con essa anche la tenuta di quel livello di sapere senza il quale saremmo sommersi. Le larghe intese sono una zattera della Medusa: galleggiano sul peggio.