Insomma, questa volta a mia figlia non ho potuto dire di no. Gli stessi insegnanti mi hanno rimproverato, perché era un’azione educativa. Capisco, chi ha perso il lavoro come me, cosa si inventa? Ho 39 anni. Nessuno lo sa che sono disoccupato da due anni, neanche mia moglie da cui mi sono separato di recente. Lei la mattina si alza comodamente per andare in ufficio e io non volevo che mia figlia pensasse a suo padre come un poco di buono!
Ho tirato fuori tuta dall’armadio e ho detto alla bambina: “Oggi niente scuola, papà ti porta a vedere il suo posto di lavoro”. Non stava nella pelle. Arrivati dinanzi alla fabbrica, sono riuscito ad entrare con il vecchio badge. Scampato il pericolo della sicurezza, salutavo a destra e sinistra, mentre mia figlia era così orgogliosa che conoscessi tutti. In realtà non conoscevo nessuno, li salutavo a caso: da quando lo stabilimento era stato smembrato, molti colleghi erano stati licenziati o trasferiti altrove.
Arrivati sulla catena di montaggio, la piccola ha detto: “Papà, non sapevo che queste belle auto le facessi tu. Guarda quella macchina laggiù, assomiglia a Saetta McQueen di Cars!”. Tra le auto nuove di zecca, le raccontavo che da piccolo venivo tutte le sante domeniche sul piazzale della fabbrica. Saltavo la messa e il catechismo, per far correre su e giù la mia automobilina telecomandata. Da grande volevo fare il meccanico e lavorare in quello stabilimento. Tra un racconto e un altro, siamo finiti nella mensa.
Sono riuscito a rimediare un piccolo sacchetto con panini, frutta e una cucchiaiata di Nutella, spiegandole che avremmo fatto uno spuntino proprio come noi al ritorno dal turno di notte.
Quando abbiamo lasciato lo stabilimento, mi ha regalato un disegno. C’ero io e una buffa auto rossa con una scritta: “Sei forte, Papà. Se proprio il mio eroe”. Mi ha chiesto di portarlo con me tutti giorni a lavoro.
Domani farò finta di tornare in quella fabbrica, come una volta. Il suo disegno mi aiuterà a non sentirmi “un buono a nulla”. In quello stabilimento ci sono ancora i miei sogni. Ne avevo lasciato uno appeso all’insegna “Benvenuti a Pomigliano D’Arco”: quello che mia figlia fosse fiera di me.