Quando sento qualcuno parlare con tenerezza dell’adolescenza mi pongo sempre la stessa domanda: ma questo tizio se la ricorda davvero? Crudele, ecco il termine che utilizzerei per descrivere quel periodo e se una qualche fata turchina si prendesse la briga di riportamici, con qualche incantesimo, non esiterei a prenderla a schiaffi. Mi sentivo sempre fuori posto, in ritardo, sbagliata e inadeguata, il futuro pieno di possibilità che si stagliava all’orizzonte mi interessava ben poco, impegnata com’ero a sopravvivere. Gli adulti intorno a me minimizzavano qualsiasi cosa che ai miei occhi invece appariva pantagruelica, e mi ricordo gli amici (me li ricordo perché sono una di quelle che ha la stessa compagnia da sempre, e quindi li ho visti ieri sera) che come me si barcamenavano tra mille dubbi, incertezze, dubbi e paure. Un inferno i quindici anni, altro che Il fiore dell’età. Questo il mio punto di partenza per leggere “Sul lato oscuro della luna” di Francesca Masante
Giulio è un ragazzino cui all’improvviso manca l’unico punto fermo, sua nonna. Il padre è una sbiadita figura altissima, che darà una chiara idea di sé solo rivelandosi nel peggiore dei modi possibili; sua madre è una donna che ha bisogno di appoggiarsi e non fa appoggiare lui che, anzi, sacrifica pur amandolo. La famiglia d’origine non esiste più, la seconda si è costruita senza la presenza di Giulio. La vita scorre anche senza di lui che quindi muto non urla il dolore del rifiuto, ma lo mastica digrignando i denti fino all’incontro con il cane bianco. Cane che si fa agnello e si immola, in un certo senso. Comincia così la storia di un nuovo Giulio, quella in cui lui ha un posto dove andare, il canile, delle persone cui rendere necessariamente conto e un amore per altri che passa attraverso l’amore per sé. Chiaramente non mancano i dubbi, che più dei brufoli identificano gli individui in fase puberale, che in Giulio investono sia la sfera personale che quella sessuale, e un incontro che cambierà tutto, quello con Tai, un cane destinato dai suoi vecchi padroni alle lotte clandestine.
Senza dubbio questo libro ha tutti i crismi del classico romanzo di formazione, ma possiede in sé altri interessani spunti. La religione vissuta non come dogma nel quale rinchiudersi ma come creatrice di una comunione universale; il disfacimento della famiglia classica; le dipendenze sia dalle sostanze che affettive; l’amore nelle sue diverse e, talvolta strampalate, forme; la discriminazione cui gli altri sottopongono chi è diverso, ma ancora di più il senso di inadeguatezza di chi teme di esserlo.
La narrazione, tutta in prima persona, rivela una penna delicata che non indugia ma racconta, l’effetto è quello di una massima credibilità in particolare per la scelta dell’autrice di non caricare mai eccessivamente le descrizioni dei tormenti, delle sofferenze o delle difficoltà ma di lasciare che siano i nostri ricordi di quel tempo che fu a integrarsi con le parole e i pensieri di Giulio. La trama, pur portando a compimento il suo ciclo, non svela troppo sul futuro, sul dopo, perché si è adulti per un tempo lunghissimo e ragazzi lo si è solo stati mentre nemmeno ne eravamo abbastanza coscienti, mentre eravamo così occupati a sentirci sbagliati da non sapere che quella è una sensazione che infondo non ti abbandona mai. Il fanciullino di Pascoliana memoria muore al primo pelo spuntato.
Questo libro mi è stato consigliato da un amico, uno di quelli che 10 anni fa non mi sarebbe stato possibile avere visto che si tratta di un contatto avvenuto attraverso un social (in un gruppo sui libri su facebook, chiaramente), e questo è uno dei motivi per cui checché ne dicano gli altri, e qualche volta pure io, a me questa realtà virtuale ha portato molte cose positive e anche se i video strappalacrime dicono di no, io una birra con gli amici la prendo sempre volentieri. E ieri davanti a quella birra, con gli amici di sempre, quelli che si sono sentiti fuori luogo mentre eravamo nello stesso luogo, ho ripensato a questo libro, e a Giulio e all’amore. Questo libro l’ho consigliato a loro e lo consiglio a chi legge, lo consiglio a tutti quelli che sono sopravvissuti all’adolescenza, l’unico periodo che “era” anche mentre ci si era dentro e che, come si dice banalmente, non torna più. Per fortuna, con buona pace della fata turchina.
