Sul metodo Stamina
16 settembre 2013 di Dino Licci
di Dino Licci
Il metodo Stamina di cui oggi vorrei argomentare, è un controverso trattamento terapeutico a base di cellule staminali creato da Davide Vannoni che, stranamente, non è né un medico né un biologo, ma un professore associato di psicologia generale presso il corso di laurea in filosofia dell’Università di Udine (“Relata refero” Wikipedia).
Il metodo, allo stato dell’arte, risulta privo di validazione scientifica e sperimentazione tali da attestarne l’efficacia. Sempre da Wikipedia apprendo che Umberto Veronesi sostiene che il caso “ripercorre il canovaccio delle vicende Bonifacio e Di Bella”, cioè di sperimentazioni avviate sotto la spinta dell’emotività della piazza piuttosto che da criteri scientifici.
Mi verrebbe voglia di ricordare al professor Vannoni, laureato in lettere e filosofia, che proprio un filosofo, forse il più autorevole dell’antichità, aveva già fissato, più di duemila anni fa, i canoni di un corretto comportamento nella sperimentazione scientifica.
Nella “Metafisica” infatti Aristotele argomenta che l’uomo da sempre aspira alla conoscenza che, per essere tale, deve seguire un percorso obbligato che parte dalla SENSAZIONE che l’uomo ha in comune con gli animali e che sfrutta i suoi recettori periferici. Ma il grosso limite della sensazione è che essa coglie il fatto (l’oti) ) e non il perché (il “dioti”) di un fenomeno. Per arrivare al perché bisogna seguire un percorso che invece è peculiare dell’uomo, quello della MEMORIA e dell’ESPERIENZA che consentono di comparare e memorizzare vari fenomeni e verificarne l’efficacia e la riproducibilità. Nel caso di una malattia si avrà una generalizzazione se ci accorgiamo che una medicina giova ad una determinata persona malata e poi ad un’altra e poi ad un’altra ancora affetta dalla stessa sindrome. Ma questa non potrà dirsi vera “scienza” finché non avremo conoscenza del meccanismo con cui una medicina agisce su determinati organi, cellule, apparati. Si passa così dall’OTI ( semplice esperienza) al DIOTI (conoscenza). Per esempio,dice Aristotele, esistono medici che hanno molta esperienza empirica (OTI) e poca conoscenza (DIOTI) o viceversa. Ma così non va ancora bene per lo stagirita. Egli c’insegna che un buon medico deve sommare la pratica alla teoria, l’esperienza alla conoscenza e così , fondendo l’oti col dioti si passa alla TECNE’ che consente una formulazione valida e universale di un metodo.
Io non voglio dilungarmi su speculazioni filosofiche, ma far notare che già duemila anni fa si bocciava il metodo puramente empirico per sommare insieme esperienza e conoscenza. Molti secoli dopo la “vexata quaestio” tra la “res cogitans” di Cartesio, tipica dei razionalisti (semplice conoscenza) con la “res extensa” degli empiristi del calibro di Hume (semplice esperienza), fu risolta dal criticismo di Kant che argomentò che le recezioni sensoriali devono passare al vaglio delle funzioni cerebrali per essere validate e viceversa.
Saltando ancora qualche secolo arriviamo a Popper, il filosofo della Scienza, che finalmente stigmatizza le qualità cui essa deve rispondere per essere considerata tale e cioè riproducibilità, conoscenza razionale, esperienza empirica e falsificabilità che significa la possibilità di adeguare le conquiste scientifiche con altre più attuali. Insomma nel mondo scientifico si boccia “ab origene” un metodo puramente empirico che ci farebbe regredire alla stato di animali. E per tornare al tema che mi ha spinto a intervenire con questa mia breve nota, devo dire che, a mio avviso, illudere un malato con una cura non ancora passata al vaglio della farmacopea ufficiale non lo aiuta certo a guarire ma solo ad andare incontro a cocenti delusioni. Si può stimolare l’effetto placebo e la produzione di endorfine anche col semplice affetto, la vicinanza, la preghiera che io, agnostico, consiglierei comunque visti i risultati che la suggestione mentale produce in chi scambia questo meccanismo chimico ed ancora in parte sconosciuto, con eventi miracolistici e sovrannaturali.
Dino Licci