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Sul perché fa più notizia l’addio di Adriano Galliani del programma politico di Pippo Civati…. E sul “Riccardo” di Gaber.

Creato il 30 novembre 2013 da Rosebudgiornalismo @RosebudGiornali

800px-Mina_Gaber_f59di Rina Brundu. A leggere i risultati dell’odierno sondaggio del Corriere.it (ancora in corso), il vincitore morale del dibattito a tre, tenuto ieri sugli schermi di Sky, tra Gianni Cuperlo, Matteo Renzi e Pippo Civati sarebbe stato vinto da quest’ultimo. Il dubbio mi assilla: perché? Certo, non bisogna confondere le preferenze dei lettori di un giornale online – specialmente di quelli che tendono ad intervenire interattivamente – con le opinioni del popolo di sinistra, ma certo è anche che ascoltando il programma politico di Civati tutto si può dire tranne che il futuro sia colorato di “nuovo che avanza”. 

Se è vero infatti che bisognerebbe dare credito al PD per essere riuscito, in pochi mesi, a scrollarsi di dosso le molte riserve-mentali della vecchia dirigenza e per essersi saputo rinnovare in maniera molto più democratica rispetto alle usate modalità berlusconistiche, è pure vero che ascoltando il programma di Civati sembrerebbe che questo rinnovamento sia solo di facciata. Con tutta la buona volontà non si può non notare, per esempio, il tono stonato e obsoleto nella dialettica di questa giovane promessa del PD, il quale con una faccia d’angelo che ricorda una sorta di Garrone deamicisiano digitale, definisce i suoi avversari politici (ma colleghi governativi) dei “soggetti” di cui sarebbe meglio non fidarsi. Ma, specialmente, infarcisce il suo discorso di un politichese accortamente ripulito del grasso ideale che sovente ritrovavamo in bocca a Peppone mentre intento a fare il meccanico e il sindaco di paese, ma che manca della passione che animava quest’ultimo, finanche della sua dignità e dulcis in fundo della sua ragion d’essere politica. Il tutto senza mai essere – Civati – propositivo e senza mai buttare sul tavolo soluzioni credibili.

E che dire di Matteo Renzi? È colui che da una prospettiva di futuro “governo del fare” promette meglio, ma è talmente concentrato nel dare numeri, nel battere sul tema della semplificazione burocratica, sull’importanza della formazione, su un fare politica vittima del modello berlusconistico che più il tempo passa più le sue buone intenzioni diventano meno credibili, alla stregua di un discorso, una poesia, un ritornello imparato a memoria per impressionare gli zii anziani e un poco sordi durante la recita di Natale e i parenti emigrati e lontani. Questo tratto diventa tanto più vero quando si va ad analizzare nel dettaglio i suoi discorsi conditi di citazioni da siti web (con tanto di menzione del nome e ringraziamento ai proprietari) e di contraddizioni palesi laddove i valori del PD sarebbero cultura, arte (dialetticamente ridondante?), formazione, università….. lavoro, no?

Ma – come direbbe Gaber – per fortuna che c’era il Riccardo… pardon, per fortuna (?) che c’era il Cuperlo che auspicando un cambio di rotta del governo ha chiesto che l’Esecutivo promuovesse “azioni mirate di contrasto alla povertà” insieme alle occasioni per creare…. lavoro. Una parola – quest’ultima – che è rimbombata nello studio con la stesso eco nefasta di quando si parla di corda in casa dell’impiccato, almeno fino a quando la clac non si è lasciata andare all’applauso liberatorio. Che sia invece Cuperlo il vincitore morale della tenzone?

Anche questo dubbio mi assilla ma non troppo. Tenendo conto delle non-novità che sono emerse dal dibattito di iersera, e rassegnandoci all’idea che noi non siamo un popolo in grado di produrre leader alla Kennedy, alla Gandhi, alla Martin Luther King, ovvero leader capaci di ispirare gli altri, non si può negare che da un punto di vista giornalistico sarebbe stato molto più “juicy” saperne di più della cena tra Berlusconi e Galliani: sarà riuscito il senatore-che-fu a convincere lo storico dirigente milanista a restare? Magari nel ruolo di un moderno Richelieu che opera nell’ombra e tutto vede e provvede (per Barbara)? Come a dire che anche la capacità di fare notizia è un’arte che si impara e con tutto il rispetto per “l’Aldo, il Turchetti e il Carmelo” forse il vero “Riccardo” della serata è stato un altro. Come sempre del resto. O per dirla con il mitico Gaber: “Uuuuh, che noia qui al bar, che noia la sera/la sera vedersi qui al bar”.

Featured image, Mina e Giorgio Gaber a Teatro 10 (1972)

 


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