Per un piano su cui, dice Affari & Finanza, è già partito l'assalto alla diligenza per piccole e medie opere, già accantonate da regioni ed enti di controllo:
Dalla stazione ferroviaria dell’aeroporto di Venezia (spesa prevista 114,2 milioni) al potenziamento del porto commerciale di Augusta in Sicilia (52 milioni), dalla bretella di collegamento Campogalliano-Sassuolo che unirà il distretto della ceramica all’A1 (520 milioni) fino alla linea ad alta velocità Genova-Tortona (6,1 miliardi). E così via con strade, autostrade, porti, aeroporti, ferrovie, perfino piscine comunali e centri congressi. Ha più di 200 voci l’elenco consegnato dal governo alla task-force di Bruxelles Developing investment project pipelineincaricata di raccogliere le opere di tutti i Paesi dell’Ue che si candidano ai finanziamenti del piano Juncker. Il capitolo Italia è stato inserito dai funzionari comunitari nel maxifaldone europeo (1700 opere ognuna con illustrazione del lavoro, stato di avanzamento e finanziamenti previsti), e messo sul tavolo della presidenza. È il più corposo in assoluto. Il totale dei finanziamenti previsti assomma a circa 1.400 miliardi. In questo mare magnum, non si sa ancora con quali criteri, la presidenza sceglierà le poche fortunate infrastrutture che avranno accesso ai sospiratissimi finanziamenti europei. «A questo punto osserva l’economista Rainer Masera - si aprirà una sottile questione interpretativa: non è chiaro ancora se il famoso “sgravio” dal computo deficit/pil varrà al momento di conferire le quote nazionali al nuovo fondo appositamente costituito, oppure quando partiranno i lavori veri e propri». Nel mega-file depositato presso la Commissione c’è di tutto, grandi, piccole e piccolissime opere. Se l’Anas chiede la bella somma di 2,9 miliardi per completare la Salerno-Reggio Calabria “chiudendo” gli ultimi 59 chilometri (“in diversi segmenti”, è specificato), il consorzio dei comuni Menaggio-Centro lago di Como si accontenta di 700mila euro per migliorare le strutture di connessione in banda largaEcco a cosa servirà questo piano: altre opere, forse non utilissime, sui quali verte il rischio di altre inchieste di corruzione. Come per Expo e Mose.
Forse sarebbe meglio, prima di chiedere soldi all'Europa, di imparare ad usarli meglio, di imparare a combattere la corruzione.
Prima di sprofondare ulteriormente nella classifica di Transarency international, come ci racconta Alberto Statera, sempre su Affari & Finanza:
Nelle cronache del degrado dell'Italia, dove le regole sembrano solo polverosi grattacieli di carta polverosa, incede anche la farsa. Soltanto nell'ultima settimana abbiamo scoperto nelle cronache che il 90 per cento degli euro falsi spacciati nel mondo sono prodotti a Napoli; che dei 1.776 aerei privati immatricolati, 386 sono posseduti da nullatenenti, 1322 da proprietari con redditi infimi, bassi o medi e solo 68 da aviatori con redditi superiori al milione di euro; infine che i detenuti per reati economici sono una sparuta pattuglia dello 0,4 per cento, meno di un decimo della media europea. Una pattuglia da cui peraltro sono già di fatto evasi i furbetti dell'Expo (Frigerio, Greganti, Grillo, Maltauro, Cattozzo) che hanno patteggiato la loro pena “virtuale”. Quando li beccarono, l'ex magistrato Gherardo Colombo esclamò ”Nulla cambia” e il Financial Times titolò “Stesso copione degli anni Novanta”. Ecco, il copione continua a non cambiare. Cosa aspettarsi allora dal nuovo indice della corruzione che sarà presentato dopodomani a Roma dal presidente italiano del network Transparency International Virginio Carnevali, il quale avrà al suo fianco il presidente dell'Autorità Anticorruzione Raffaele Cantone? L'indice misura la “percezione” della corruzione in 177 nazioni. L'Italia è abbonata alla schiera dei meno virtuosi del mondo, che parte dalla cinquantesima posizione in classifica. Noi siamo stabilmente ben oltre anche nel 2014 e soltanto tra il 2007 e il 2008 scendemmodi dieci posizioni, forse per un casuale minor attivismo delle Procure. Il Mose e l'Expo hanno contrassegnato l'anno del malaffare che sta per finire, ma sono soltanto le icone in una prateria di corruzione che secondo l'Ufficio Antifrodi dell'Unione Europea riguarda in Italia almeno un contratto pubblico su dieci, il triplo della Francia e dieci volte più dei Paesi Bassi. L'Italia viaggia sempre intorno al settantesimo posto nella classifica del disonore, peggio di Ghana, Arabia Saudita, Lesotho, Rwanda, Cuba, Montenegro e solo un po' meglio di Kuwait, Bosnia e Senegal.