Animali come automi
Secondo Cartesio[1] – le cui idee hanno influenzato buona parte della filosofia contemporanea – gli animali sono privi di mente, incapaci di pensare e la loro natura li rende simili a degli automi. Gli animali, infatti, come gli automi, non possiedono il linguaggio, inteso come capacità di combinare segni o parole in maniera creativa per comunicare i propri pensieri; e, inoltre, qualora anche manifestassero in certi specifici ambiti capacità superiori a quelle umane, fallirebbero poi in tutto il resto non essendo in grado di svolgere compiti per i quali non sono specificamente predisposti. Invece l’uomo, a differenza degli animali/automi, essendo dotato di mente e razionalità, è sempre in grado di affrontare nuove situazioni, poiché la razionalità è uno strumento universale utilizzabile in ogni occasione.
Da come Cartesio descrive gli automi sembrerebbe che questi siano delle copie di qualcos’altro e che, come copie, siano manchevoli di un’essenza autentica ed originale che li renda davvero in grado di affrontare le infinite vicissitudini dell’esistenza, ovvero, come scriverà qualche secolo più tardi Isaac Asimov, sono «programmati a comportarsi come si comportano»[2].
Le tesi cartesiane esposte nel Discorso sul metodo in relazione alle capacità cognitive degli animali e degli esseri umani, sono oggetto di un ampio dibattito nel mondo scientifico e filosofico contemporaneo, poiché sollevano, tra gli altri, importanti questioni sul piano morale. Sostenere, infatti, che gli animali siano simili a degli automi comporta che da un lato vengano loro disconosciuti stati mentali basilari quali il dolore o il piacere come conseguenza di capacità cognitive piuttosto che come semplice riflesso meccanico e istintuale, e dall’altro vengano privati di una teoria della mente che riconosca loro la capacità di attribuire ad altri individui un qualunque stato mentale. In altre parole, enunciati come “il mio cane è felice” o “quando sono triste il mio gatto mi viene sempre accanto” perderebbero completamente di senso.
Contro le tesi di Cartesio e la sua visione meccanicistica dell’animalità, che al contempo riduce l’animale in cosa e attribuisce all’uomo, in quanto dotato di mente, uno status speciale rispetto agli altri esseri viventi, si sono espressi molti autori[3] non solo in ambito filosofico; tra questi, basti ricordare il matematico Antoine Arnauld ed Elisabeth von der Pfalz, meglio nota come la principessa di Boemia. Entrambi, infatti, contestavano al filosofo che si potesse passare, dalla concepibilità di qualcosa (la mente senza un corpo), all’esistenza reale di questa cosa stessa e, in qualche modo, questo evidenzia come l’impossibilità di verificare l’esistenza della mente priva di un corpo mini il progetto cartesiano di nobilitare l’uomo proprio attraverso la proprietà di possedere qualcosa di cui, infatti, non è possibile verificare l’esistenza.
Uno degli ambiti in cui la relazione uomo/animale/macchina può emergere in tutta la sua complessità, emancipata da possibili pregiudizi accademici, è quello letterario, in particolare il filone fantascientifico. Leggendo, infatti, il racconto di Isaac Asimov dal titolo Il fedele amico dell’uomo è possibile immergersi, provando a seguire un percorso non prettamente scientifico, nel dibattito scaturito dalle tesi di Cartesio.
Cervello positronico, ovvero le menti delle “creature altre”
Asimov ci racconta di Jimmy, un ragazzino tutto tuta spaziale e gravità, la cui specialità è il salto del canguro sul cratere lunare. Robotolo, un automa dalle sembianze di cane, è il suo grande amico con cui trascorre, come sempre, le lunghe giornate.
Per tutti – anche per Jimmy – arriva però, inesorabile, il giorno duro della “verità”: il padre, pensando di fare un piacere al giovane cosmonauta, svela che quel piccolo corpicino lungo appena trenta centimetri, luccicante e con la testa senza bocca, occhi vitrei e bernoccolo, non è altro che un automa, una macchina che agisce secondo un programma (un codice sequenziale di istruzioni prestabilite) e non secondo volontà, materia fredda e inanimata che verrà presto sostituita con qualcosa di vero, qualcosa che può amare veramente e veramente essere amato.
Asimov ci pone di fronte ad almeno tre possibili piani di lettura: quello del padre (la scienza meccanicistica cartesiana), la cui comprensione del mondo avviene tramite modelli identitari e relazionali prestabiliti, razionalmente riconosciuti e riconoscibili e di conseguenza universali e immutabili; quello del figlio, che si rapporta al suo compagno di giochi, che potremmo definire diversamente-vivente, in termini di relazione, cioè di pura e semplice vita vissuta; e infine quello dell’automa, al quale è negata la possibilità stessa di avere un punto di vista.
Nella prima prospettiva, in cui si inserisce la tradizione filosofica che delinea, già a partire da Cartesio, l’idea dell’animalità robotica, non preoccupa solo ed esclusivamente perché mortifica le capacità degli animali, i loro sentimenti e le loro emozioni, ma soprattutto perché giustifica, in riferimento a principi generali e universali (la razionalità, appunto, come strumento discriminante universalmente valido), un sistema di violenza istituzionalizzato, la cui tragicità, in un crescendo esasperato, esplode oggi nella cosiddetta Questione animale. L’assassinio di animali perpetrato sistematicamentedall’uomo, l’enorme massacro di vite animali che, oggi ancor di più, avviene nell’indifferenza e nel silenzio più totali, è possibile proprio perché termini come «assassinio» e «massacro» perdono completamente di senso se non rivolti ad esseri ma a cose, ad automi. Se gli animali, come robot, non hanno teoria della mente e sono privi di stati mentali, «dolore» e «sofferenza» diventano termini vuoti inapplicabili allo stupro, costante, dell’animalità.
La maggior parte degli argomenti cartesiani, come quelli riguardo il dualismo mente – corpo, sono ancora discussi nella letteratura filosofica ma, alcuni studi sull’animal cognition[4] hanno ormai dimostrato, se pur in modo antropocentrico, le enormi potenzialità delle diverse specie, svelando la complessità che si nasconde dietro la genericità riduttiva del termine «animale» e come, il l’entità teorica “mente” abbia un’estensione molto più ampia che, infatti, non si riduce solo all’uomo.
Quello che stupisce nel racconto di Asimov, attraverso lo sguardo ingenuo di un bambino, è il messaggio di fiducia nei confronti dell’automa inteso come «altro da sé», come diverso. Il bambino Jimmy, ricevendo dal padre l’amara notizia riguardo al «cane – macchina», non reagisce come ci si potrebbe aspettare, provando sdegno ma per aver condiviso dei momenti, delle emozioni, con quella che viene definita – cartesianamente – una “macchina” ma replica: «Robotolo non è un’imitazione papà. È il mio cane»[5]. Jimmy continua la sua obiezione attraverso un’argomentazione molto complessa sostenendo che è impossibile stabilire quale sia l’imitazione di qualcosa e quale no, perché tutti potremmo fingere di avere sentimenti, gioie e dolori ma in realtà non averne affatto. Quello che conta, per Jimmy, è l’affetto che lui sente di ricevere da Robotolo, che è autentico, e ciò che gli viene detto non importa. Parafrasando Asimov, potremmo dire che ciò che conta, in una questione così complessa, non è quello che la scienza o gli argomenti di filosofia della mente ci dicono, ma quello che noi sentiamo nel momento del reale contatto con l’Altro, nel momento in cui, davvero, azzeriamo le nostre barriere concettuali e tendiamo la mano verso una profonda ricongiunzione con ciò che non possiamo carpire fino in fondo ma che, se pur con molte difficoltà, possiamo comprendere instaurando un percorso che mira al sentire, non al capire.
È attraverso questo richiamo alla sensibilità – sensibilità che lungi dall’essere “pazzia”, semplice cadere nell’emotività incontrollata e irrazionale, è semmai supportata da una razionalità autentica, che respingere per l’appunto l’impersonalità del razionalismo scientifico - che Jimmy da eroe fantascientifico diventa eroe antispecista, e comincia a stringere forte al petto Robotolo, sussurrandogli con dolcezza: «Ma che differenza c’è tra il comportamento di uno e quello di un’altro? Non si pensa a quello che sento io? Amo Robotolo, ed è solo questo che conta[6]».
Ed è così che il piccolo corpicino di Robotolo, il piccolo corpicino di un automa, si avvolge in un infinito abbraccio esistenziale con Jimmy, e ciò che resta di fronte l’umana arroganza e l’antropocentrica scienza è solo il suono, dritto al cuore, di una serie di acuti guaiti. Guaiti di felicità.
[1] Renato, Cartesio, Discorso sul metodo, trad. it. di Giuseppe, de Lucia, Armando Editore, Roma,1999.
[2] Isaac Asimov, «Il fedele amico dell’uomo», in Id., Tutti i miei robot, trad. it. di Laura Serra, Mondadori, Milano 1985, pp. 9 – 12.
[3] Cfr. Sandro Zucchi, Descartes sulle differenze tra l’anima nostra e l’anima dei bruti, prima lezione del corso Cognizione, linguaggio e diritti degli animali” tenuto all’Università degli studi di Milano nell’anno accademico 2009-10, reperibile in http://www.filosofia.unimi.it/zucchi/NuoviFile/Uno-Descartes09.pdf.zip.
[4] Cfr. Felice Cimatti, Mente e linguaggio degli animali. Introduzione alla zoosemiotica cognitiva, Carocci, Roma 1998.
[5] I. Asimov, op. cit. p. 11.
[6] Ibidem, p. 12.