Il Presidente del Consiglio, nella fiabesca Conferenza Stampa di fine anno, tra un attacco ai giudici ed un colpo agli eversivi di una Sinistra mai rinnovata, trova occasione per ribadire l'importanza del fattore psicologico per uscire dalla crisi che attanaglia la produttività e l'economia italiane.
E' sufficiente sapersi convincere e saperla raccontare, per potersi inserire a pieno titolo nel mondo che conta. Poco importa se le lauree perdano peso specifico, se i più meritevoli si perdano dietro i telefoni di call center o dietro contratti a progetto senza fine; ciò che conta è, sicuramente, avere la psicologia necessariamente disposta per affrontare l'emergenza.
Chi non trova giuste queste tesi non è un inguaribile ottimista e non può prendere parte al trionfo del miracolo italiano.
Chi scende in piazza per denunciare una riforma nata senza ascolto sbaglia: molto meglio rimanere chiusi serrati in casa a studiare. Chi organizza cortei e dibattiti perde di vista il merito, non ha tempo per portare a casa voti eclatanti.
Così facendo, si stravolge prepotentemente il concetto di ribellione come fattore qualificante per una società dinamica ed attiva.
Le onde di protesta, quando si manifestano, hanno sempre più di una ragione per esistere e resistere:
"Quasi tutte le rivoluzioni che hanno mutata la fisionomia dei popoli sono state fatte per consacrare o per distruggere la disuguaglianza. Scartate le cause secondarie che hanno prodotto le grandi agitazioni, ed arriverete quasi sempre alla disuguaglianza." (Alexis de Tocqueville)
Scartando le cause "secondarie" attinenti alle proteste, si trova con piena convinzione la disuguaglianza di fondo per le future generazioni: l'essere completamente privi o privati della possibilità di scelta riguardo al proprio futuro, appunto.
Se i movimenti studenteschi sapranno edificarsi e strutturarsi, le contestazioni alla de-forma Gelmini saranno paradossalmente un meraviglioso punto di partenza.
Se bussare alla porta del futuro significherà abbatterla, ben venga.
Ribellione è sinonimo, anche, di etica della responsabilità: servirebbe, a tale proposito, "il coraggio di dire ai giovani che essi sono tutti sovrani, per cui l'obbedienza non è ormai più una virtù, ma la più subdola delle tentazione, che non credano di potersene far scudo nè davanti agli uomini nè davanti a Dio, che bisogna che si sentano ognuno l'unico responsabile di tutto."
Se un altro mondo è possibile, trae linfa concreta e pesante dalle anime viaggianti e dai cuori prigionieri di chi ha ancora il tempo dalla sua parte. Non demoralizzarsi per costruire qualcosa di pesante e continuo: è questa la missione che può sventrare la carcassa di un Paese morto.
Fuggire prima della sepoltura è una delle sole cose rimaste per aspirare ad una ribellione vera, capace di consegnare allo Stato rinnovate idee di giustizia sociale e globale.
Dopotutto, ancora molto può cambiare.