Sembra una ricetta della sorellina cuoca della lentigginosa Cristina Parodi, moglie del fan numero uno di Simona Ventura e dello spin doctor di Renzi, Giorgio Gori.
Prendete un centinaio di uomini in tuta, un po’ di elmetti gialli, tritolo quanto basta (350 Kg) e immergete tutto a 373 metri di profondità.
Dopo aver mescolato per bene aggiungete ogni tanto un pizzico di politici locali paraculo e una grattuggiata di dichiarazioni di solidarietà.
E’ una ricetta del 1995 ma è sempre attuale, valida anche per i giorni nostri.
Solo che ad oggi ci vuole un bel contorno di 600 milioni di euro, quelli spesi da allora dalla Regione Sardegna per tenere in vita le miniere della Carbosulcis con un bel po’ di milioni di finanziamento pubblico (35 milioni) per una perdita annuale di 25 milioni di euro.
Per la cronaca, come tenere in vita un cadavere in putrefazione facendo trasfusioni di sangue.
Ma per cosa protestano i minatori oggi? Pressapoco per le stesse cose di allora, e questo già dovrebbe dire qualcosa, ma soprattutto perché illusi dalla possibilità che l’azienda che vende il carbone all’Enel possa essere riconvertita ad una più moderna e pulita stazione di stoccaggio della CO2 nel sottosuolo.
Il problema è che, a detta di molti, la soluzione prospettata è una pia illusione visti i costi per realizzarla e la possibilità che l’Enel si rivolga ad altri per ottenere le stesse materie prime ad un prezzo e una qualità più vantaggiose.
Entro il 31 dicembre la Regione indirà un nuovo bando internazionale per realizzare una nuova centrale a basse emissioni di Co2. Sperando che la Alcoa di turno decida di puntare sull’isola ma le prospettive sono più nere che rosee, oggi diremmo di ben più di 50 sfumature di grigio.
Che ti fa il minatore? Protesta. Come hanno protestato i colleghi lavoratori autoesiliatisi all’Asinara o altri sulle gru, sui tetti, sulle torri e così via.
In questi giorni e con l’aggravarsi della crisi (un lavoratore si è persino tagliato le vene ai polsi per protesta) non fanno altro che arrivare, come era ovvio, proclami di solidarietà da parte di politici, alcuni dei quali hanno pure indossato l’elmetto e si sono calati in profondità, salvo poi tornare a casa a cenare con i familiari al fresco e all’aria pura, che suonano come una beffa.
Nessuno però ha avuto il coraggio di far notare che non c’è nessun motivo reale per continuare a estrarre carbone (per altro di qualità non eccelsa) dalle miniere del Sulcis e soprattutto non l’hanno detto ai lavoratori.
La Regione ha preferito continuare a foraggiare un’impresa fallimentare con soldi pubblici, i sindacati invece che svolgere un ruolo di mediazione hanno aizzato, come sempre, contro il nemico di turno illudendo tante famiglie, e i fondi che sarebbero stati ben spesi per la riconversione anche professionale dei lavoratori sono stati gettati al vento, un po’ come i fumi inquinanti di cui si parla ogni giorno.
I politici, a causa del loro assistenzialismo a fini elettorali, i sindacalisti, interessati a battaglie ideologiche fuori dal tempo e qualche dirigente dell’Enel pronto ad approfittarsi della situazione fino a quando è convenuto per poi scaricare tutto addosso ai lavoratori, dovrebbero sì a turno scendere nel pozzo e spiegare chiaramente ai lavoratori che per anni sono stati presi per i fondelli, anche se, sarebbe ingeneroso nei loro confronti, è difficile immaginare che loro non sapessero che la situazione non poteva andare avanti per molto.
Per questo la protesta è inutile, detto con rispetto, non è cattiveria, i lavoratori potrebbero anche mozzarsi le mani di netto ma all’atto pratico sarebbe un ricatto sociale ed economico inaccettabile, oltre che razionalmente sbagliato. La storia ci dice che queste proteste raramente hanno portato a qualcosa, al massimo hanno prolungato un’agonia.
Chi ha sbagliato deve pagare, si capisce la frustrazione e la disperazione, ma continuare a protestare in questo modo, per rianimare un filone produttivo morto e sepolto da tempo, è come protestare contro la morte di un parente asserragliandosi nella camera mortuaria.
(redattore)