di Michele Marsonet. Esiste ancora l’eredità del “Padre dei turchi”, Mustafa Kemal detto Ataturk? Per uno straniero che si rechi a visitare l’enorme mausoleo eretto in suo onore nel 1953 sulle colline di Ankara, e nel quale riposa la sua salma, indubbiamente sì. E’ un edificio imponente che suscita sentimenti di rispetto già quando si percorre la lunghissima scalinata di accesso.
E tale impressione è rafforzata dagli onnipresenti ritratti che lo raffigurano esposti in ogni edificio pubblico, incluse scuole e università. Il volto di Mustafa Kemal incombe spesso anche nei convegni scientifici internazionali che si tengono a Istanbul, Ankara e altre città, come se gli organizzatori locali volessero rammentare ai colleghi provenienti dall’estero il ruolo fondamentale che svolse nella creazione della Turchia moderna.
Tutti sappiamo che, dopo l’avvento al potere di Recep Tayyip Erdogan, il vento è cambiato. Prima non mancavano certo le voci critiche del kemalismo, presenti in varie forme nei partiti d’ispirazione religiosa. Nessuno però osava contestare più di tanto le sue principali riforme. Oltre all’abolizione del califfato ottomano, rammento la laicizzazione generale dello Stato, il riconoscimento della piena parità tra i sessi, l’adozione dell’alfabeto latino e del calendario gregoriano, la proibizione per le donne di portare il velo nei locali pubblici.
E’ interessante notare che il partito islamico di Erdogan, nominalmente moderato, abolì ben presto proprio tale proibizione (che non appare la più importante tra le riforme dianzi citate). Poi ha proceduto a un progressivo smantellamento dell’immagine kemalista della Turchia nella quale, per esempio, nell’ambito del diritto vennero abolite le norme che si collegavano alla legge islamica. Quest’ultima oggi è de facto di nuovo prevalente a scapito del codice civile.
Ci si può chiedere, e penso con buone ragioni, se Ataturk non avesse esagerato nella sua ansia di modernizzare a tutti i costi la nazione. Ai suoi tempi c’era una spaccatura netta tra le città almeno parzialmente occidentalizzate come Istanbul e Izmir (l’antica Smirne) e l’Anatolia profonda dove vivevano le masse contadine. Non a caso Mustafa Kemal decise di portare la capitale proprio ad Ankara in Anatolia, al centro dell’altopiano anatolico.
La differenza si sente con nettezza ancora oggi. Basta andare da Istanbul ad Ankara per sentirsi proiettati alla lettera in un altro mondo. Aumenta all’improvviso il numero delle donne velate e cambia radicalmente la foggia degli abiti maschili e femminili.
Ataturk era cosciente di questi fatti, al punto da attribuire all’esercito il ruolo di tutore della laicità. Perfino il colpo di Stato fu da lui ammesso qualora servisse a preservare la suddetta laicità e il processo di secolarizzazione giudicato indispensabile per il progresso del Paese.
Con un’abilità che gli va riconosciuta Erdogan è riuscito, in tempi tutto sommato brevi, a neutralizzare le forze armate abolendo il ruolo tutoriale da esse svolto e trasformando di nuovo la Turchia in Paese islamico. Basandosi però su un notevole consenso elettorale, a riprova del fatto – già menzionato in precedenza – che la secolarizzazione fu in fondo imposta dall’alto senza che le masse ne fossero realmente conquistate.
L’attuale premier ha capito subito che il suo spazio di manovra era grandissimo, e lo ha abilmente sfruttato. Sullo sfondo resta il problema di capire fino a che punto convenga l’adesione turca all’Unione Europea. A Bruxelles alcuni ritengono virtuosa una simile prospettiva ma, per fortuna, in ambito UE i dubbiosi sono in maggioranza.
Featured image, portrait of Mustafa Kemal Atatürk, first president of the Republic of Turkey.