di Michele Marsonet. Il dramma irakeno ha posto in luce, una volta di più, l’estrema debolezza – e anche un certo infantilismo – dell’Unione Europea in materia di politica estera e di strategia geopolitica. Quando accadono eventi drammatici che, tra l’altro, sono assai più vicini ai confini dell’Unione che a quelli americani, i superburocrati di Bruxelles altro non sanno fare se non lanciare appelli agli Stati Uniti affinché intervengano.
Dalla capitale UE vengono emanati bollettini asettici e appelli umanitari, senza che ad essi si accompagnino atti decisivi a livello pratico. “Ci devono pensare gli USA”, questo è il ritornello che da decenni sentiamo ripetere e che, francamente ha stancato.
E ha stancato pure gli americani. I tempi sono cambiati e la loro opinione pubblica dà crescenti segni d’insofferenza di fronte al ruolo di “gendarme del mondo” che per decenni gli Stati Uniti hanno svolto, a volte con successo altre meno. Tale ruolo è estremamente costoso in ogni senso. Sul piano economico poiché devono mantenere un apparato militare enorme che copre ogni angolo del pianeta. Sul piano umano perché gli USA da sempre sopportano le perdite di soldati e di materiale di gran lunga maggiori. E infine sul piano politico dal momento che sono il bersaglio preferito dei terroristi di ogni tipo.
Ora si critica il Presidente Obama per i limiti imposti all’intervento militare in atto. Le critiche in linea teorica sono giustificate, giacché già si vede che i raid aerei non riescono a bloccare l’avanzata dell’ISIS. Ma, nel frattempo, la UE che ha fatto? Alcuni Paesi membri hanno cominciato a inviare aiuti umanitari e, per quanto riguarda l’Italia, si parla di attivare i nostri enti per la cooperazione internazionale.
C’è qualcosa che stona in questo quadro. Per quale motivo gli USA dovrebbero inviare marines e GI ad affrontare i jihadisti sul loro terreno, mentre altre nazioni si limitano ai soccorsi umanitari? Soprattutto rammentando che molte di tali nazioni sono ricche e in grado, volendo, di dotarsi di mezzi militari adeguati.
E qui sta il punto. L’Unione Europea è cresciuta come organismo che, all’atto pratico, si è occupata in modo quasi esclusivo di questioni economiche e finanziarie. Contano solo la salvaguardia della moneta unica e l’equilibrio di bilancio. La difesa comune è stato finora un tema che ha suscitato ben poco entusiasmo. Se ne sentiva in sottofondo l’urgente necessità, ma si rispondeva che lo scudo USA era tutto sommato sufficiente a garantire la tranquillità e l’integrità dei confini.
Purtroppo non è più così. Il Giappone, per esempio, s’è accorto da un pezzo che gli Stati Uniti stanno ridisegnando il loro ruolo mondiale. Ha cessato quindi di fare affidamento soltanto sullo scudo americano e ha inaugurato una nuova politica della difesa per essere in grado, qualora se ne manifesti la necessità, di rispondere autonomamente a sfide militari.
Finora, a Bruxelles, non v’è stato alcun segno di risveglio analogo. E le conseguenze si vedono. Gli eventi che stanno incendiando Mediterraneo e Medio Oriente sono distanti da New York, Washington e Los Angeles, ma vicinissimi a Roma, Parigi e Berlino. Per non parlare, ovviamente dell’Ucraina.
Ci si chiede pertanto fino a quando l’Europa potrà permettersi il ruolo della Bella Addormentata soddisfatta del successo economico (peraltro calante) e delle interminabili discussioni su PIL e pareggio di bilancio. La vittoria americana nel secondo conflitto mondiale è ormai lontana, e non è detto che ci sia ancora un Principe disposto a salvarla in nome dei comuni principi democratici.
Featured image, the April 2003 toppling of Saddam Hussein’s statue in Firdos Square in Baghdad shortly after the Iraq War invasion, source Wikipedia.