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Sull' inutilita' di certo cinema (italiano) e le difficolta' del film di genere - un ragazzo d'oro / perez. / i nostri ragazzi

Creato il 04 ottobre 2014 da Kelvin

SULL' INUTILITA' DI CERTO CINEMA (ITALIANO) E LE DIFFICOLTA' DEL FILM DI GENERE - UN RAGAZZO D'ORO / PEREZ. / I NOSTRI RAGAZZI

Un ragazzo d'oro

Carlo Verdone a Venezia non ha usato giri di parole: "La vera crisi del cinema italiano è che da noi si fanno troppi film: 400 pellicole all'anno, tra sala e televisione, sono un numero spropositato allo stato attuale delle cose...". Difficile dargli torto, aldilà della propria opinione personale e soggettiva sul comico romano. E' vero: quasi mai la quantità va di pari passo con la quantità, al cinema come nelle altre opere d'ingegno... il progresso e la maggiore fruibilità della tecnologia, ormai alla portata di tutti, hanno fatto sì che oggi sia relativamente facile pubblicare un e-book, incidere canzoni, dirigere un film. Il passaggio al digitale (al posto della costosissima pellicola) consente ormai a chiunque di cimentarsi della regia, tanto è vero che basta un banalissimo smartphone per girare un film completo, e di conseguenza illudersi di essere registi a tutti gli effetti.
Le cose ovviamente non sono così semplici. Il talento non si compra al mercato, così come le idee. E in Italia si fanno troppi film uguali l'uno all'altro, standardizzati, fondamentalmente inutili. Si fanno decine di commedie, per la maggior parte insulse e di sciatto stampo televisivo, si prova a fare qualche film impegnato (da parte dei soliti noti), si prova addirittura a cimentarsi in generi 'alternativi', con risultati troppo spesso disastrosi. E quando questa inutilità di fondo, anche comprensibile per registi debuttanti, coinvolge perfino mostri sacri del nostro cinema, forse sarebbe il momento di fare qualche riflessione riguardo distribuzione e finanziamenti... ha ragione Verdone: questa è la vera crisi: lo spreco di soldi per mercanteggiare prodotti che poco hanno che vedere con l'arte, poichè arte è sinonimo di creatività ed estro, di sforzo intellettuale.

SULL' INUTILITA' DI CERTO CINEMA (ITALIANO) E LE DIFFICOLTA' DEL FILM DI GENERE - UN RAGAZZO D'ORO / PEREZ. / I NOSTRI RAGAZZI

Perez

Non mi dilungo oltre su questo spinosissimo argomento. Mi mancano tempo, spazio e, soprattutto, voglia. Però quando un Pupi Avati ha il 'fegato' (si fa per dire) di girare un film come Un ragazzo d'oro, confesso che mi cascano le braccia. Si fa presto a parlare di 'rinnovamento', al cinema come in altri ambiti, quando invece si girano opere 'prestampate' e su commissione, che tolgono spazio a chi magari di idee ne ha da vendere ma non  ha la possibilità di farle conoscere. Il tutto, ovviamente, nell'esclusivo interesse economico. Le tre mini-recensioni che seguono trattano film di cui, ne sono certissimo, nessuno avrebbe sentito la mancanza: pallidissimi tentativi di sdoganare ancora una volta una filmografia di genere che, salvo rare eccezioni, si dimostra solo pretenziosa e, appunto, inutile. Tre film che, a mio modestissimo parere, sono un monumento all'inutilità.
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UN RAGAZZO D'ORO 
di Pupi Avati (Italia, 2014) con Riccardo Scamarcio, Cristiana Capotondi, Sharon Stone, Giovanna Ralli
C'era una volta Pupi Avati, cineasta intimista e personale, malinconico e delicato, capace di dirigere film che sapevano toccare emotivamente le corde giuste dello spettatore... da tempo però il buon Pupi ha perso ogni slancio creativo, limitandosi prima a riproporre sempre le stesse opere fatte con lo stampino (La cena per farli conoscere, Gli amici del Bar Margherita, Il cuore grande delle ragazze...) poi, come in questo caso, provando a cimentarsi in qualcosa di (relativamente) nuovo, ma con risultati disastrosi. Un ragazzo d'oro tenta di rinverdire i fasti del cinema italiano grottesco anni '70, perdendo però ogni senso della misura e trascinandosi stancamente fino ai titoli di coda senza provocare il minimo sussulto. Sembra un film svogliato, indolente, girato per costrizione, poco curato anche stilisticamente. Scamarcio e la Capotondi si danno un gran daffare, ma le sconcertanti presenze di una svogliata Sharon Stone (passata a batter cassa nel Belpaese) e, soprattutto, di un'inguardabile Valeria Marini, vanificano senza appello ogni velleità artistica. Giustamente scartato senza appello dall'ultima rassegna veneziana.  
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PEREZ. 
di Edoardo De Angelis (Italia, 2014) con Luca Zingaretti, Marco D'Amore, Simona Tabasco 
L'avvocato Zingaretti squarta un toro (vivo) per recuperare capsule di diamanti. La sua figlioletta flirta con un camorrista ricercato proprio a causa del paparino. Un mefistofelico pentito di mafia fa il filosofo e media tra le parti... davvero non ci si crede che la Mostra di Venezia possa aver ospitato un simile pasticcio, un goffo tentativo di imbastire un improponibile noir all'amatriciana, enfatico, stereotipato e ricco di tanto humour involontario, di tipico stampo televisivo. Lo 'Zinga' cerca disperatamente, in ogni film, di scrollarsi di dosso i panni di Montalbano, ma volte il rimedio è peggiore del male... vorrebbe essere un tentativo di rinverdire il cinema di genere all'italiana, ma è una pellicola sconclusionata sotto ogni punto di vista. Da salvare solo la bella fotografia di Ferran Paredes, che 'illumina' sinistramente un luogo asettico e lugubre come il Palazzo di Giustizia napoletano.
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I NOSTRI RAGAZZI 
di Ivano De Matteo (Italia, 2014) con Luigi Lo Cascio, Alessandro Gassmann, Giovanna Mezzogiorno, Barbora Bobulova, Giada Fradeani, Jacopo Olmo Antinori
Due adolescenti figli di papà massacrano una barbona dopo una serata a base di droga e alcool. Le rispettive famiglie sono di fronte al dilemma più atroce: cercare di salvare i propri rampolli insabbiando tutto (grazie a denaro e conoscenze) oppure denunciarli alle autorità? Tratto dal romanzo di Herman Koch, La cena, un film all'apparenza interessante ma, purtroppo, decisamente ingenuo e poco credibile, che non spinge mai l'acceleratore e resta sempre in superficie, descrivendo banalmente una società fatta di ragazzini viziati, senza cervello e pieni di complessi. Ma il film non si eleva mai da questa patina fintamente accusatoria, e la trama sembra davvero troppo simile a Il capitale umano di Virzì, restando però ad anni luce da esso quanto a denuncia sociale, coinvolgimento e tensione emotiva. Il finale, poi, sbrigativo e posticcio, è davvero imbarazzante.

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