
Lui è un po' così. Tra il perplesso e il curioso. Ha degli occhi che domandano sempre, fin da piccolo si chiedeva delle cose che spesso io non capivo.

2005 - le domande.
Gli mancava allora la parola, grande sua futura arma. In realtà non è che proprio gli mancava, perché quella famosa fase che molti chiamano 'lallazione', lui la faceva così articolata che non ne venivamo a capo. A circa 12 mesi faceva delle conversazioni telefoniche con chissàchi per interi minuti.
2006 - la parola.
Il suo approccio è riflessivo. I suoi gesti sono lenti e gentili. Quando aveva tre anni mi ha preoccupato, mi sembrava stesse troppo fermo. Ero anch'io caduta nella trappola della mamma ansiosa per cui la normalità diventa una malattia e il temperamento del proprio bambino un ostacolo, non un dono.
2007 - la paura.
Le paure, come la nascita dei suoi piccoli fratelli, lui le butta fuori. Le pensa, dà loro un suono, le evoca e poi sempre delicatamente me le mette in mano e mi dice: pensaci tu. E così io millanto un po' di saperlo fare, ma molto spesso me ne sto lì, impalata, con la sua paura in mano e mi viene da piangere.
2009 - il contatto.
Ha dovuto, con fatica, imparare ad apprezzare il contatto fisico. Io e il suo papà l'abbiamo aiutato, ma più di tutti l'ha aiutato il Due, che vuole bene con le mani e con le gambe e con la bocca....
2010 - autoritratto.
E' un bambino che ride poco, così gli dicono. Come dicevano, d'altro canto, a me. E io mi sentivo a disagio e non capivo mai cosa volessero da me. Non so perché ride poco ma in effetti è così. E non so nemmeno perché io ridevo poco. Ma ero felice lo stesso. E così spero lui.Vedo che la sua mente lavora, viaggia viaggia. Sta bene con se stesso, questo sicuramente. S'immerge nelle sue cose e poi riemerge per darmi un bacio.
2011 - costruzione del regalo dei suoi compagni.
E' un momento in cui va e poi torna. Costruisce e dà un bacio. Legge e poi domanda una cosa. Mi racconta di scuola e poi scende in cortile. E' così crescere, no? E' staccarsi piano piano.E' entrato nella mia vita in un giorno di sole e quel giorno K. aveva raccolto lungo la strada dei papaveri che mi aveva donato. Erano pochi meravigliosi papaveri che riposavano in un bicchiere di ospedale. Oggi dentro di me quei papaveri sono uno sterminato prato rosso tra i capannoni grigi. Oggi l'Uno compie sette anni.
