Da un lato piacerebbe anche a me poter scrivere un Elogio della filosofia come Maurice Merleau-Ponty, ma m’astengo dallo scrivere un testo cosiffatto in quanto ritengo che nella filosofia non ci sia nulla da elogiare, o meglio, sono convinto che qualsiasi elogio della filosofia alla fine si trasforma in un elogio di alcuni filosofi, magari quelli che più ho amato nei miei anni di formazione: Bruno, Spinoza, Hegel, Nietzsche, Marx, Peirce, Simmel, Freud, Wittgenstein; dovrei dire qual è l’aspetto che in ciascuno di loro ha maggiormente attratto e stimolato i miei interessi; ne verrebbe fuori, alla fine, una sorta di autobiografia filosofica…
D’altra parte dovrei spiegare i motivi degli assenti: perché Spinoza piuttosto che Leibniz? Perché Hegel anziché Kant? Perché Wittgenstein e non Popper? Perché né Socrate né Platone? Né Gentile né Croce? Finirei, insomma, con lo scrivere un Biasimo della filosofia: o meglio, un biasimo di taluni filosofi.
Dall’altro, un elogio della filosofia rischierebbe di risolversi nella domanda: a che serve la filosofia? Vale a dire bisognerebbe giustificare o legittimare la presenza della filosofia nella formazione culturale umana in ragione della sua utilità. Utilità a quali fini? Naturalmente, come risponderebbe ogni buon insegnante di filosofia, utile allo sviluppo del senso critico. Eppure, come insegnava Aristotele, che di filosofia se n'intendeva, la filosofia nasce dallo stupore, ossia dalla capacità di meravigliarsi.
Lo stupore in sé non ha alcunché di utile. Lo stupore è quell’atteggiamento in cui siamo ancora disposti a lasciarci sorprendere dal modo in cui le cose si presentano alla nostra mente. Tale predisposizione non è oggetto di insegnamento: o si dà tutto per scontato o, talvolta, ci meravigliamo di scoprire che ci siano cose che sfuggono alla banalità. Questa predisposizione, più modestamente, possiamo definirla “curiosità”. I bambini sono gli esseri più curiosi perché si trovano in quella fase in cui stanno “scoprendo” il mondo. Anche l’atteggiamento filosofico è un atteggiamento che ci predispone a questa continua messa in discussione di ciò che appare o di ciò che abbiamo tacitamente appreso. Da questo punto di vista, la vita quotidiana può essere il regno dello stupore. Ogni atto, gesto, comportamento può predisporci allo stupore. Ad esempio, quando si presenta qualcosa di inatteso che ci mette in una situazione disorientante.
Eppure, la filosofia, quella legata alla creazione del senso critico, s’è allontanata da questa dimensione di stupore. L’insegnamento della filosofia si è risolto in una tecnica del “ben argomentare”. Senso critico può significare come atteggiarsi nei confronti di qualcosa con distacco e senza lasciarsi coinvolgere. Paradosso della filosofia: i buoni insegnanti, quando arrivano a parlare dei Sofisti, lo fanno nei termini in cui ne parlò a suo tempo Socrate, vale a dire con disprezzo, ignorando che la concezione filosofica che essi praticano nelle scuole derivi proprio dal pensiero sofistico. Scimmiottano Socrate! Per sviluppare il senso critico è sufficiente inserire nelle scuole un buon corso di “retorica”. L’ottimo manuale di Chaim Perelman, Trattato dell’argomentazione, sarebbe più che sufficiente! Che senso ha far imparare tutta la storia del pensiero filosofico per far conoscere delle buone tecniche di argomentazione? Perché non riportare in auge l’insegnamento della retorica nelle scuole? Questi sono gli equivoci su cui una scuola secolare fonda i suoi errori. Perpetuandoli senza mai metterli in discussione. In ogni caso, il senso critico non si sviluppa soltanto con l’insegnamento di buone tecniche di argomentazione, ma soprattutto con l’acquisizione di conoscenze, storiche, geografiche, scientifiche, sociali, economiche, ecc. La filosofia può continuare ad offrire tutto questo? Non mi pare.
Associare l’insegnamento della filosofia all’elaborazione del senso critico, quale argomento forte per continuare a sostenere la sua presenza didattica nelle scuole, risulta essere una prospettiva del tutto fuori luogo. L’origine della filosofia, o meglio, l’origine dell’atteggiamento filosofico non affonda le sue radici nell’utilità, bensì in un sentimento piacevole, ossia in quell’eccitazione dell’essere che s’attiva ogniqualvolta si supera una resistenza. Tale resistenza è data dall’opacità del mondo, dal fatto cioè che tutto è stato già detto, tutto è già stato acquisito e archiviato. Quindi, dal fatto che non v’è più nulla da scoprire. Nulla che ci possa stupire e meravigliare. Se non siamo in grado di rompere la resistenza che tale opacità oppone alla nostra ricerca ogni atteggiamento filosofico risulta nullo. Vano. Quando si arriva questo punto, vuol dire che la routine e l’automatismo della vita ci hanno completamente fagocitati, imprigionati nei suoi ingranaggi…
Chissà, neanche la propria morte suscita stupore…
Magazine Storia e Filosofia
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