Per fortuna che ci sono i classici. Parto dalle parole di una recensitrice dalla testa temperata per rifarmi a un autore dalla testa quadrata, Italo Calvino, per il quale «un classico è un libro che non ha mai finito di dire quel che ha da dire». Schlegel, dal canto suo, invitava a leggere gli antichi perché ciò che lodano i moderni non è molto significativo. E di questo avviso era pure Schopenhauer, che dedicò un intero capitolo del suo Parerga e paralipomena alla lettura e ai libri. Pubblicato a parte dalla casa editrice meneghina La Vita Felice, il capitolo Sulla lettura e sui libri funziona molto bene anche come saggio indipendente. Nonostante la sua brevità (che lo rende ideale per riprendere gradualmente i ritmi di lettura dopo la pausa estiva), in esso c’è tanta carne al fuoco.
Ebbene, cosa si può dire sulla lettura? Innanzitutto, che occorre metabolizzare il contenuto dei libri in modo che lascino delle tracce nello spirito: «se si legge ininterrottamente senza poi riflettere, non si mettono le radici e si perde la maggior parte di ciò che si è letto». In tal caso, non si rischia solo di dimenticare tutto, ma anche di atrofizzare e perdere la facoltà stessa di pensare; come molti dotti, che hanno letto fino a istupidirsi. Questa considerazione di Schopenhauer mi ha ricordato rispettivamente Nietzsche, che dirà qualcosa di molto simile in Ecce homo, e Montaigne, che nei suoi Saggi raccomandava ai giovani che si volgono alle lettere di trovarsi dei precettori con la testa ben fatta piuttosto che ben piena.
Ma lo stile di queste pagine, ben lungi dal trattato pedagogico, è quello dell’invettiva: persuasione, sarcasmo, arguzia, concisione e audacia caratterizzano la penna di Schopenhauer, che assume i toni tipici del pamphlet allorquando denuncia i vizi degli autori di successo, che hanno astutamente messo i lettori al guinzaglio addestrandoli a leggere a tempo, cioè offrendo loro periodicamente del materiale di conversazione attraverso cattivi romanzi che vengono tuttavia lodati dalla critica. «Nove decimi della nostra attuale letteratura non ha altro scopo che spillare qualche tallero dalle tasche: autore, editore e recensore hanno per questo fermamente complottato». Ecco allora che la cattiva letteratura non è solo inutile ma anche dannosa, perché spinge a leggere solo le pubblicazioni più recenti a discapito dei classici e perché si impadronisce del tempo, dei soldi e dell’attenzione, tutte cose che dovrebbero spettare invece «ai buoni libri e ai loro nobili scopi».
Ho trovato questo compendio sulla lettura molto coinvolgente perché Schopenhauer tocca dei temi cari ad ogni bibliofilo che si rispetti, spaziando dal desiderio di disporre del tempo necessario a leggere tutti i libri acquistati («Sarebbe una bella cosa comprare, insieme ai libri, anche il tempo per leggerli») allo scoramento nel vedere come gli scaffali delle librerie pullulino di scribacchini del momento che storpiano la lingua e che, nondimeno, vengono preferiti dal grande pubblico ai massimi autori di ogni tempo e luogo. Non so se sia più confortante o avvilente trovare in uno scritto di metà Ottocento una polemica contro gli instant book, ma Schopenhauer garantisce che la letteratura effimera, che vende solo perché è ancora umida per la pressa, scompare nel giro di pochi anni e poi per sempre con tutto il suo chiasso e clamore iniziali, lasciando il posto alla vera letteratura, più lenta nel suo incedere, più silenziosa, ma destinata a restare eterna. Speriamo bene.
Andrea Corona
Arthur Schopenhauer, Sulla lettura e sui libri [1851], La Vita Felice, Il piacere di leggere, Milano 2010, 62 pp., 6,50 euro.