Magazine Diario personale
Questa è una settimana strana, dove la politica, anzi la Politica entra prepotente nei miei meandri, nella mia testa e nel mio cuore. Chi segue da un po' questa mia casetta virtuale sa benissimo che noi siamo dentro la politica fino al collo. La politica in senso stretto e in senso lato. Questo manifesto l'ho condiviso con il K. che non l'ha ancora studiato per benino ma che me l'ha fatto salvare sul suo desktop. E non è poco. Tipo che solo pochi eletti .doc raggiungono un tale ambito posto. Nella sua veloce lettura e cercando di capire se potessimo in qualche modo usarlo per l'imminente campagna elettorale, ma ha detto che no, è troppo difficile, è per pochi, bisogna estrapolare.
Sì, è vero. E' un po' difficile, ma è giusto che sia così. Perché la realtà è complessa e difficile e ridurla ma al contempo comprenderla è davvero un ardito compito. E se poi include il concetto di felicità, beh, allora tutto diventa esponenzialmente più arduo. K. ci perde la testa. E gli sta dedicando ogni minuto del suo tempo libero, anche a scapito della sua famiglia. Io sono arrivata addirittura a sognare una vita più ritirata per lui e per noi... Ma niente. La sua biblioteca esplode alla ricerca di una risposta definitiva che con molte probabilità non arriverà mai.
Poi un giorno torna da un liceo dove aveva fatto un intervento nelle classi e mi racconta. Prima di andare aveva portato l'Uno a scuola materna. E una maestra lo informa di un fatto che poi lui ha raccontato in classe. Le maestre hanno chiesto ai bambini dove vanno a fare la spesa. Ipercoop!! Bennet!! Esselunga!! L'Uno ha alzato la mano e ha detto che lui va al Mangianatura con la mamma (gli altri due non erano nati). A piedi, o col triciclo, una volta anche col trattore. Dice loro che nel negozio ci sono tre amiche a vendere e che il latte è segnato con il suo nome. Il K. ha detto ai diciottenni che lui parla e spiega le anomalie economiche, le irrazionalità del sistema occidentale, ma poi davanti a questi eventi diventa inerme, perché pensa che il fare sia più importante del parlare.
A me ha lusingato molto. Perché come madre, molte volte mi fermo e mi chiedo: servirà? E alla fine della storia siamo noi a piangere e rifornirci di benzina allo stesso tempo. Io penso che le parole siano importanti e che il suo lavoro serva. Diciamo che ci siamo divisi i compiti: a lui pertiene la polis e a me la felicità e davvero questo mestiere non mi dispiace.
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