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Sulla resistenza dei cristiani in Siria

Creato il 14 giugno 2014 da Rosebudgiornalismo @RosebudGiornali
800px-Gerettetegötter_löwendi Michele Marsonet. Dopo l’ultima dichiarazione di Barack Obama a West Point, secondo la quale gli Stati Uniti non hanno affatto rinunciato a rovesciare Assad e intendono addestrare dei fantomatici ribelli siriani “moderati”, giunge in questi giorni una notizia destinata a rafforzare i dubbi sulla politica americana in Medio Oriente.
Finora non si era notata in Siria la presenza di milizie cristiane armate. E invece pare che ci siano e si stiano pure rafforzando. Qualcuno forse rammenterà la battaglia di Ma’lula. Si tratta di un piccolo agglomerato urbano distante 56 km da Damasco, costruito sui fianchi di una montagna a 1500 m. d’altezza. E’ una cittadina interamente cristiana in cui si parla ancora l’aramaico, vale a dire la lingua di Gesù.
Sede di due celebri monasteri, Mar Sarkis e Mar Taqla, e in quest’ultimo si conservano – o, meglio, si conservavano – le reliquie della santa cristiana Tecla. Il regime laico siriano non aveva mai causato problemi alla comunità cristiana locale, garantendo la libertà di culto e di pellegrinaggio.

Nel settembre del 2013 le brigate qaediste di al-Nusra riuscirono a conquistare la città facendola letteralmente a pezzi. Chiese e monasteri profanati, icone incendiate e sfregiate, suore rapite, abitanti giustiziati sommariamente. E le reliquie della santa distrutte.

L’esercito regolare riprese Ma’lula alla fine di ottobre, per poi riperderla di nuovo a causa della pressione militare esercitata dai fondamentalisti. A pochi mesi orsono risale la riconquista definitiva da parte dei soldati di Assad, e ora il fronte pare essersi stabilizzato.

Nel frattempo i cristiani, che prima non avevano mai avuto bisogno di usare le armi, si sono organizzati militarmente formando una milizia che affianca l’esercito. Hanno insomma imbracciato, anche loro, il kalashnikov, giurando di combattere fino alla morte pur di impedire che i qaedisti giungano di nuovo a distruggere le loro case e a profanare i monumenti sacri.
Si noti che le dodici suore rapite e tenute in ostaggio per mesi furono in seguito rilasciate scambiandole con alcune donne detenute nelle prigioni di Damasco. E non costituisce certo una sorpresa apprendere che lo scambio avvenne grazie alla mediazione del Qatar, grande finanziatore (assieme all’Arabia Saudita) dei fondamentalisti islamici siriani.

Il problema è che emirato del Qatar e Arabia Saudita sono tra gli alleati più stretti degli americani in Medio Oriente, e questo la dice lunga sulle esitazioni USA nell’area. Obama ha ovviamente interesse a compiacere gli amici, magari inventandosi dei ribelli moderati da aiutare. All’inizio c’erano, e poi sono stati spazzati via da forze che curiosamente (ma neanche troppo) sono da un lato legate a filo doppio con gli estremisti islamici, e dall’altro possono contare su lauti finanziamenti di Stati ufficialmente filo-occidentali e impegnati nella lotta contro il terrorismo.

Per chi sa come, dove e con quali sostegni economici e militari al-Qaeda ebbe origine tali fatti non costituiscono una novità. E tuttavia continua a sorprendere la cecità americana di fronte alla situazione sul terreno. Non esistono ribelli “moderati” da utilizzare all’uopo, e la sconfitta di Assad lascerebbe campo libero al fondamentalismo, con tutte le conseguenze del caso.
Tanti hanno rilevato le incertezze della politica estera USA in Siria e altrove: basti pensare all’espansionismo cinese nel Pacifico. Tuttavia parlare di “incertezze” è riduttivo. Qui ci troviamo con un presidente e un’amministrazione che non sanno letteralmente cosa vogliono fare. E, quando lo sanno, scelgono sempre la parte sbagliata.

Featured image, reliefs from Tel Halaf dating to the Aramean kingdom of Bit Bahiani, author Z Thomas


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