di Michele Marsonet. Era forse prevedibile, ma non fino a questo punto. Chi in questi giorni convulsi ha criticato l’incertezza del presidente Obama e la sottovalutazione americana dei pericoli che deriverebbero da una vittoria degli estremisti islamici in Siria, si trova ora a fianco compagni di strada non graditi.
Innanzitutto i pacifisti a senso unico, quelli che vogliono disarmare a ogni costo, sicuri che l’essere imbelli costituisca uno scudo in grado di evitare ogni attacco. Poi i reduci dell’antiamericanismo puro e duro, per i quali gli Stati Uniti rappresentano sempre il male assoluto da combattere “no matter what”. E numerose altre tipologie simili.
Papa Francesco, intendiamoci, fa bene a gridare “mai più la guerra!”. La massima autorità della Chiesa cattolica non potrebbe dire altro. Tanti suoi predecessori hanno affermato la stessa cosa e sarebbe strano che il nuovo pontefice si comportasse in modo diverso.
Tuttavia, lo si voglia o no, la guerra è una condizione permanente del nostro mondo imperfetto. Dopo il 1945 l’umanità ha evitato conflitti mondiali come quelli che hanno insanguinato buona parte del pianeta nei primi decenni del secolo scorso, anche se spesso siamo giunti vicinissimi al punto limite. L’equilibrio del terrore ai tempi della Guerra Fredda si è in fondo rivelato un buon deterrente a livello globale, pur non impedendo una serie ininterrotta di conflitti locali.
Questi ultimi continuano e molti ritengono – con buone ragioni – che un attacco alla Siria possa per l’appunto innescare una crisi di proporzioni ben più vaste di quel si pensa. E’ evidente che Obama è consapevole del rischio. La sua incertezza è ormai nota, ma credo che nessuno, se è in buona fede, sia autorizzato a dipingerlo come un guerrafondaio. I suoi tentennamenti sono, in fondo, molto “umani” e lo avvicinano all’uomo della strada.
D’altra parte credo che a nessuno dei critici occidentali del possibile attacco sia simpatico Assad. Dopo la morte del padre era partito con buoni propositi cercando per quanto possibile di liberalizzare il suo Paese, salvo fare un rapido dietrofront quando capì che eventuali elezioni avrebbero probabilmente portato al potere forze fondamentaliste.
Il punto essenziale è però un altro, e riguarda ancora una volta gli Stati Uniti. E’ stato notato da molti analisti che Obama si è cacciato da solo in un ginepraio prima minacciando un attacco immediato ma con limiti precisi. Assad andava punito ma non rovesciato, proprio perché i suoi avversari non vantano titoli di democraticità maggiori dei suoi: anzi, è lecito pensare il contrario. Di qui la richiesta dell’approvazione parlamentare, che a tutt’oggi non è ancora scontata. Ma se gli USA a questo punto non intervengono, rischiano di compromettere seriamente il loro status di potenza globale e di perdere influenza in tutti gli scacchieri decisivi dello scenario internazionale. Con un parallelo aumento dell’influenza di Russia e Cina.
Una delle conseguenze possibili è un ritorno all’isolazionismo, tendenza da sempre forte nella politica americana e anche nell’opinione pubblica statunitense. Gli isolazionisti vorrebbero che l’America smettesse di occuparsi dei conflitti degli altri ripiegandosi su se stessa e affrontando i problemi interni. Allo scoppio del secondo conflitto mondiale tale tendenza era assai forte, e ci volle tutta l’abilità di Franklin D. Roosevelt per far sì che gli USA affiancassero la Gran Bretagna nella sua lotta solitaria contro le potenze dell’Asse. Si noti inoltre che un ritorno all’isolazionismo è stato adombrato in alcuni suoi interventi anche da un politologo del calibro di Edward Luttwak.
E’ questo il dilemma che viene alla luce in questi giorni. Se gli americani attaccano i rischi sono moltissimi, e non li enumero perché già tanti lo hanno fatto. Se rinunciano all’attacco la loro immagine diventerà ancora più appannata, e il neoisolazionismo potrebbe rivelarsi un’opzione plausibile.
Quanto agli europei, ora si comprende in tutta la sua portata l’errore di aver creato un’Unione solo economica e monetaria, senza punto preoccuparsi della coesione politica e soprattutto, considerate le circostanze, di una comune politica di difesa.
Il bluff oggi è evidente. Non bastano certo Francia e Regno Unito a rassicurarci dal momento che, senza lo scudo americano, la UE è poca cosa dal punto di vista militare. Il dilemma di cui sopra non è ancora stato sciolto, ammesso che possa esserlo continuando su questa strada. Vorrei in ogni caso ribadire che essere contrari all’operazione siriana non significa affatto sposare l’antiamericanismo preconcetto che purtroppo è sempre di moda.
Featured image, frontespizio del celebre libello di Walter Lippmann, che diede nome al successivo periodo storico della guerra fredda.
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