Ceccon Bernardo detto Patata fu Antonio e fu Angela Bianchin, 18 anni, muratore, illetterato, celibe, condannato altre volte per contrabbando.
Accusa di contravvenzione all’art. 27 della Legge sulle Privative, per essere stato trovato in possesso, il 24 settembre 1869, di una non precisata quantità di tabacco in polvere.
Sulla via del ritorno camminarono in fretta. Di quando in quando accennavano un trotto, senza mai rompere in una corsa vera e propria. Basta coi salti, le urla, gli schiamazzi, come pure col chiasso del percorso di andata. Assunsero anzi un’andatura da adulti, a passo pressoché costante e secondo il tragitto più ragionevole, oppressi dal peso della meta da raggiungere e del dovere da compiere. Qualcosa li guidava da vicino, una sorta di immagine dinanzi allo sguardo che si frapponeva tra loro e il mondo, come sembrava succedesse alla maggior parte degli adulti. Avevano la sensazione che, giunti a un certo punto del percorso, avrebbero incominciato a gridare.
Il Patata pensò subito che sarebbero entrati urlando e agitando le mani per diffondere la grande notizia, che avrebbe lasciato di sasso chiunque l’avesse sentita.
Passarono il ponte come facevano sempre, correndo a più non posso. Ma senza provare alcun gusto del rischio, senza audacia, né sfida al pericolo.
Anziché seguire la strada a gomito che portava in piazza, si arrampicarono per la sponda lungo il sentiero che sbucava davanti alla chiesa. L’orologio batteva il tocco della mezza. Le undici e mezza.