La novità era che la libertà di stampa, in generale, è in declino nei Paesi più colpiti dalla crisi finanziaria. [...]
[In Italia] non è affatto sorprendente che Freedom House releghi il nostro Paese nel gruppo dei 'parzialmente liberi' per quanto riguarda la libertà di stampa. [...]
E' possibile che il giudizio di Freedom House sia persino sbagliato e in realtà l'Italia non sia affatto un Paese solo 'parzialmente libero'.
Nelle edicole, alla radio, nei giornali online, nei blog o sui social network ogni giorno è disponibile una varietà di interventi sulla crisi, dall'analisi dei dati agli insulti. O entrambi i generi fusi insieme.
Non c'è quasi niente che si possa pubblicare, se solo si è abbastanza bravi da reperire le informazioni e farle circolare.
Il potere esponenziale di Twitter ha creato degli opinion makers a costo zero che non fanno economia di giudizi su niente e su nessuno. Forse però occorrerebbe ribaltare il punto d'osservazione [...].
Non è sufficiente guardare a ciò che è possibile reperire sul mercato dei media.
Bisogna anche guardare a ciò che le persone in posizione di responsabilità o di influenza in un Paese si aspettano di leggere o ascoltare sul conto proprio o degli affari a cui sono interessati. [...]
[In Italia] i decisori sembrano nutrire attese particolari riguardo al tono e ai contenuti dei media.
Istintivamente, tendono ad aspettarsi che le televisioni, i giornali e i giornalisti internalizzino le loro agenda. [...] gran parte dei politici, degli imprenditori o dei responsabili delle Istituzioni italiane ritengono [...] che il loro programma debba essere quello dei giornalisti che parlano di loro. La vedono quasi come una legge non scritta, [...].
Qualunque deviazione suscita una reazione di stupore, disagio, indignazione. [...]
Poiché Freedom House ha inserito i media italiani fra i 'parzialmente liberi' a causa di Berlusconi ma continua a tenerceli anche dopo il suo declino, si tratta di capire come questa struttura del rapporto giornalismo-potere stia reagendo alla grande recessione.
Se tutto cambia nel Paese dopo un crollo del 9% del Pil, senz'altro qualcosa sta succedendo anche in questo punto nevralgico.
[...] il meno che si possa dire è che il modello dell'internalizzazione dell'agenda dei policy makers in Italia non ha funzionato.
Si può condividerlo o meno, ma non ha prodotto gli effetti desiderati di solito in un Paese e da chi lo guida: non ha prodotto efficienza, prosperità, persuasione degli elettori, credibilità dei responsabili politici e finanziari.
Oggi tutti in Italia [...] condividono la stessa sensazione di impotenza. Tutti si sentono [...] vittime della piega che il Paese sta prendendo. Tutti ne sono frustrati e si considerano incapaci di influenzare gli eventi come vorrebbero. [...] non uno si sente vincente o soddisfatto o anche solo capace di indirizzare il Paese nella sua direzione preferita.
Naturalmente non è tutta colpa del sistema dell'informazione, eppure il rapporto tradizionale fra media e potere [...] può aver avuto un ruolo in questa condizione di frustrazione generale così diffusa nel Paese.
[...] i media hanno faticato a raccontare la crisi finanziaria in buona parte perché le èlites del Paese hanno faticato a capirla.
Quando sono arrivati i primi segnali di instabilità [...] sull'analisi degli eventi e delle loro cause spesso ha fatto premio la ricerca dei colpevoli.
Quasi sempre fuori dalla cerchia della società italiana.
Così il più ovvio dei colpevoli era sempre nascosto fra gli 'speculatori' dei mercati finanziari, molto spesso senza un volto, come se chi investe fosse tenuto ad assicurare il benessere di un Paese e non il proprio o quello di chi gli affida i propri risparmi.
Già in questa accusa ricorrente alla speculazione ha iniziato ad affiorare uno dei riflessi ricorrenti nella narrazione della crisi finanziaria in Italia: l'idea che qualcosa fosse dovuto al Paese, come per rango o per diritto acquisito, e che comunque dopo la grande paura si sarebbe avuto un lieto fine.
In fondo questa era già stata la narrazione prevalente della crisi del 1992, quando la lira dovette lasciare il sistema di cambio europeo [...].
Gli italiani non percepirono mai il proprio Paese come in default parziale. [...]
in quell'occasione avvenne qualcosa di quasi unico nella storia delle crisi finanziarie: grazie alla rincorsa verso l'Euro, i tassi d'interesse di un'economia del genere crollarono sui livelli di Paesi più solidi nel giro di soli cinque anni.
Poco dopo un default parziale, almeno nei confronti di creditori esteri, l'Italia aveva la moneta e i tassi più 'virtuosi' al mondo.
Una conferma plateale che il Paese aveva sempre titolo ad aspettarsi un lieto fine alle sue peripezie.
Eppure in questa crisi attuale l'happy end ha tardato ad arrivare.
Dopo aver biasimato a sufficienza gli 'speculatori' internazionali, molte delle critiche si sono spostate su Angela Merkel e sulla Germania 'egoista' perché il suo Governo non cerca di soddisfare le richieste degli elettori e dei politici italiani, ma dei propri.
Questa fase della narrazione [...] non è ancora superata.
Per quanti legittimi motivi di dissenso possano esserci con la condotta del Governo tedesco, i temi [...] hanno centrato soprattutto un obiettivo: trovare un colpevole all'esterno di ciò che sta accadendo all'interno dell'Italia e non discutere seriamente di ciò che l'italia potrebbe fare per indurre se stessa e il Governo tedesco a una cooperazione più costruttiva.
Ancora una volta, il racconto di ciò che stava accadendo alla crisi spesso non serviva a far capire ma ad assolvere e a nascondere. [...]
Le élites italiane, capaci di indirizzare il dibattito pubblico sui problemi unicamente interni al Paese in tempi normali, si sono rivelate incapaci di farlo in tempi eccezionali su problemi non solo domestici.
[...] non sono state in grado di interpretare le azioni politiche, finanziarie ed economiche dell'Italia con il mondo esterno.
Il risultato oggi è duplice [...]. La gran parte delle persone fatica a capire razionalmente e in modo complessivo quello che sta succedendo in Italia. Sam McClure, giornalista all'epoca di T.Roosevelt, [...] diceva: 'La vitalità della democrazia dipende dalla conoscenza popolare di questioni complesse.'
Se questo è vero, oggi la vitalità della democrazia italiana è piuttosto bassa e il giornalismo non ha fatto fino in fondo il suo mestiere. [...]
Nel frattempo, mentre gran parte delle persone fatica a capire, nelle élites si nota un fenomeno anch'esso peculiare: la forbice, lo 'spread' fra i discorsi pubblici e privati si allarga sempre di più.
L'abitudine a esprimere opinioni e a raccontare fatti diversi in circostanze diverse c'è sempre stata, ed è inevitabile e sana in una certa misura.
Questi anni [...] hanno visto un allargamento della forbice: chiaro segno di sfiducia nella possibilità di avere una discussione alla luce del sole sui problemi nella loro dimensione reale.
Tutto questo ha contribuito, fra gli italiani, a un crollo della fiducia in se stessi e soprattutto verso gli altri.
E la libertà senza fiducia è come un ingranaggio impossibile, come una scala di Escher. [...]"
Fonte: "Recessione Italia - Come usciamo dalla crisi più lunga della Storia", F.Fubini, iLibra - Editori Laterza-LaRepubblica