Nel 1979, su proposta della regista Loredana Rotondo, un processo per violenza sessuale fu trasmesso per la prima volta in televisione.
Tutti poterono rendersi conto di cosa accadeva. Se un uomo si appropriava con la forza di una donna per avere rapporti sessuali, alcuni giudici e avvocati cercavano di dimostrare che la colpa era stata della donna che, secondo loro, “aveva provocato”.
Dunque sotto processo sembrava essere la vittima. Del resto la violenza non era considerata un reato grave, era “semplicemente” un reato contro la morale pubblica. La persona che subiva la violenza non era così importante per la legge.
Cecilia D’Elia, Nina e i diritti delle donne, pag. 42.
Quanti sono ancora convinti di questa realtà? Quanti pensano che la donna se la sia cercata, o che una violenza non sia un fatto così grave? Questa era la realtà italiana degli anni ’70, in una società in cui esisteva ancora il “matrimonio riparatore” che consentiva allo stupratore, se sposava la vittima, di farla franca. E soprattutto al Sud, dove una ragazza non più vergine non aveva più alcuna speranza di sposarsi perché era una svergognata, le pressioni sociali e familiari perché quel matrimonio ci fosse erano fortissime. Così, dopo lo stupro, la ragazza doveva subire tutta una vita con l’animale che la gioia di vivere glie l’aveva tolta.
Ora molte cose sono cambiate. Non tutte, e a volte si sente ancora dire che la donna se l’è cercata. Si leggono sentenze della Corte di Cassazione secondo cui una ragazza che porta i jeans non può essere stuprata, perché l’uomo non può riuscire a toglierglieli senza il suo consenso. Come se l’uomo non sia quasi sempre più forte della donna e non possa stordirla e poi spogliarla con calma, o terrorizzarla a un punto tale da spingerla a spogliarsi da sola. E questo è solo un caso, che non troppi anni fa ha suscitato notevole scalpore, al punto da indurre alcune parlamentari a indossare un paio di jeans e una maglietta con sopra scritto “alibi per stupro”.
Stamattina avevo già pubblicato un pezzo che parlava di Nina e i diritti delle donne. Ne ho riproposto un passo ora perché in un romanzo ho trovato un brano quanto mai significativo, che mi sembra giusto condividere. Certo, questo è solo un romanzo, ma quanta verità c’è dietro le parole di Robin Hobb?
“«Cosa vuoi da me?» chiese imperiosamente il Satrapo. Tentò di sedersi, poi sprofondò di nuovo con un lamento. Piagnucolò senza più alcun tono di comando: «Perché mi tratti così male?»
Sembrava talmente incredulo che Strilla fu spinta a rispondere. «Mi hai data a un uomo che mi ha stuprata di continuo. Mi ha picchiata. Lo hai fatto di proposito. Sapevi cosa stavo passando. Non sei intervenuto. Finché non hai avuto bisogno di me, non ti sei curato di quello che mi succedeva. Ti ha divertito!»
«Non mi sembra che ti abbia fatto tanto male» dichiarò il Satrapo in tono difensivo. «Cammini e parli e sei crudele con me come sempre. Voi donne ne fate un affare di stato! Dopo tutto è ciò che gli uomini fanno alle donne per natura. È ciò per cui sei stata fatta, ma hai rifiutato di accordarmi!» Strappò con petulanza i pilucchi delle coperte e borbottò: «Lo stupro è solo un’idea creata dalle donne, per fingere che un uomo possa rubare ciò di cui avete una scorta infinita. Non ne hai ricavato un danno permanente. È stata una burla villana, lo ammetto, e mal considerata… ma non merito di morire per questo.» Girò la testa verso la paratia. «Senza dubbio quando sarò morto ti capiterà di nuovo» commentò con soddisfazione infantile.
La nave della pazzia, pag. 56.
Uno scherzo, perché lo stupro non esiste e le donne sono fatte solo per assecondare gli uomini. In fondo, non ne ricavano un danno permanente. Quanti ancora la pensano così?