Con Samehada otoko to momojiri onna (Shark Skin Man and Peach Hip Girl,1998) e Cha no aji (The Taste of Tea, 2004), Isii Katsuhito(1966) si è affermato come uno dei più brillanti cineasti giapponesidell’ultima generazione. Smuggler, ilsuo ultimo film, ha per protagonista Kinuta, un ventenne che ha rinunciato alsogno della sua vita, quello di diventare un attore, per condurre una vita ailimiti della dissipazione, fra pachinkoe scommesse. Indebitatosi con la yakuza, Kinuta è costretto a rivolgersi adun’usuraia, che in cambio del denaro prestatogli lo recluta come smuggler, col compito, insieme con altridue suoi pari, di trasportare qualsiasi cosa gli venga richiesta. Il suo primocarico è costituito dal cadavere decapitato di un boss yakuza colpevole, diavere sottratto della droga alla mafiacinese. Il film mescola toni caricaturali (gli uomini della yakuza, i duekiller Vertebra e Viscere) a momenti di suspense e tensione (la polizia cheferma i tre smuggler nel corso di unodei loro illegali trasporti, la tortura subita dallo stesso Kinuta che, senzasalvataggio all’ultimo minuto, sarebbe destinato ad una morte certa), con unindubbio senso dello spettacolo, ma anche con un’eccessiva indulgenza a luoghicomuni ormai triti: dagli esasperati ralentynelle scene di combattimento all’immancabile nunchaku di “bruceliana” memoria, dall’avvenente e giovane donnadel boss a Vertebra che evita i proiettili a lui diretti con un’abilitàsovrumana (un po’ come il Neo di Matrix),dal sadico torturatore che esibisce la propria arte fischiettando (sìesattamente come in Le iene) alcattivo che proprio non ne vuole sapere di morire. Tratto da un manga di ManabeShōhei, Smuggler avrebbe forse potutotrarre maggior partito da un soggetto che conteneva almeno un’efficace idea:quella di un attore mancato, Kinuta, che si ritrova a dover interpretare nellarealtà la parte di un altro, Vertebra. Peccato però che la cosa non sia affattosfruttata, e si risolva nella già citata scena di tortura che, di là dal suosadismo, non è certamente destinata a rimanere nella memoria dello spettatore,né a fare di Kinuta un personaggio degno di una qualche attenzione. Smuggler ribadisce ancora una volta come il cinema giapponesecontemporaneo sia manga-dipendente, fatto che se in alcuni casi gli ha dato unacerta forza espressiva (alcune soluzioni visive dei film di Kitano nonsarebbero probabilmente esistite senza i manga), dall’altro gli ha impostostilemi che nel loro continuo riproporsi non sono ormai altro che logori luoghi comuni. [DarioTomasi, Pusan Film Festival 2011]
Con Samehada otoko to momojiri onna (Shark Skin Man and Peach Hip Girl,1998) e Cha no aji (The Taste of Tea, 2004), Isii Katsuhito(1966) si è affermato come uno dei più brillanti cineasti giapponesidell’ultima generazione. Smuggler, ilsuo ultimo film, ha per protagonista Kinuta, un ventenne che ha rinunciato alsogno della sua vita, quello di diventare un attore, per condurre una vita ailimiti della dissipazione, fra pachinkoe scommesse. Indebitatosi con la yakuza, Kinuta è costretto a rivolgersi adun’usuraia, che in cambio del denaro prestatogli lo recluta come smuggler, col compito, insieme con altridue suoi pari, di trasportare qualsiasi cosa gli venga richiesta. Il suo primocarico è costituito dal cadavere decapitato di un boss yakuza colpevole, diavere sottratto della droga alla mafiacinese. Il film mescola toni caricaturali (gli uomini della yakuza, i duekiller Vertebra e Viscere) a momenti di suspense e tensione (la polizia cheferma i tre smuggler nel corso di unodei loro illegali trasporti, la tortura subita dallo stesso Kinuta che, senzasalvataggio all’ultimo minuto, sarebbe destinato ad una morte certa), con unindubbio senso dello spettacolo, ma anche con un’eccessiva indulgenza a luoghicomuni ormai triti: dagli esasperati ralentynelle scene di combattimento all’immancabile nunchaku di “bruceliana” memoria, dall’avvenente e giovane donnadel boss a Vertebra che evita i proiettili a lui diretti con un’abilitàsovrumana (un po’ come il Neo di Matrix),dal sadico torturatore che esibisce la propria arte fischiettando (sìesattamente come in Le iene) alcattivo che proprio non ne vuole sapere di morire. Tratto da un manga di ManabeShōhei, Smuggler avrebbe forse potutotrarre maggior partito da un soggetto che conteneva almeno un’efficace idea:quella di un attore mancato, Kinuta, che si ritrova a dover interpretare nellarealtà la parte di un altro, Vertebra. Peccato però che la cosa non sia affattosfruttata, e si risolva nella già citata scena di tortura che, di là dal suosadismo, non è certamente destinata a rimanere nella memoria dello spettatore,né a fare di Kinuta un personaggio degno di una qualche attenzione. Smuggler ribadisce ancora una volta come il cinema giapponesecontemporaneo sia manga-dipendente, fatto che se in alcuni casi gli ha dato unacerta forza espressiva (alcune soluzioni visive dei film di Kitano nonsarebbero probabilmente esistite senza i manga), dall’altro gli ha impostostilemi che nel loro continuo riproporsi non sono ormai altro che logori luoghi comuni. [DarioTomasi, Pusan Film Festival 2011]
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