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Summit a Panama, il Giappone blocca la creazione della riserva per le balene nell’Antartico

Creato il 05 luglio 2012 da Eldorado

La riserva per le balene, nel sud dell’oceano Atlantico, non si farà. A deciderlo sono stati i paesi membri della Commissione baleniera internazionale, che questa settimana sono riuniti a Panama per decidere le quote di caccia al cetaceo.
L’iniziativa è naufragata per l’opposizione del Giappone, che è riuscito nell’intento di creare un fronte sufficiente per frenarne l’applicazione. Sono stati ventuno alla fine i paesi ad allinearsi con la posizione intransigente dei giapponesi, contro i 38 a favore e i due astenuti. In questa maniera non è stato raggiunto il quorum del 75% necessario per procedere con il progetto.
La riserva, che doveva servire come centro di conservazione per i cetacei, era stata proposta da Argentina, Brasile, Uruguay e Sudafrica ed aveva incontrato il favore di tutti i paesi latinoamericani che fanno parte della Commissione. I giapponesi ogni anno invadono le acque dell’Antartico dove cacciano centinaia di balene grazie ad un tecnicismo legale che permette loro di catturare i cetacei per scopi scientifici e quindi destinarne la carne al consumo umano.
Non è la prima volta che il Giappone veta la creazione di una riserva. Già agli inizi del 2000, era riuscito a boicottare la proposta neozelandese di un’area simile nel Pacifico sud, tra le isole di Pasqua e Pitcairn. In quel caso, l’intera proposta fallì, il fronte protezionista si disgregò e non se ne fece più nulla. Forti politicamente, i giapponesi possono contare su un bacino di paesi fedeli a cui, nel corso degli anni, hanno prodigato aiuti e fondi. Non è da dimenticare che la Commissione è composta anche da Stati la cui economia dipende dai programmi di cooperazione. Da qui, per esempio, i voti che il Giappone riesce periodicamente ad ottenere dalle isole antillane (San Cristóbal e Nevis, San Vicente).
Summit a Panama, il Giappone blocca la creazione della riserva per le balene nell’AntarticoLe cattive notizie per gli ambientalisti non finiscono qui. La Commissione ha infatti accettato l’estensione dei diritti per la pesca tradizionale dei cetacei da parte dei popoli indigeni. La polemica è sorta quando nella lista, oltre all’Alaska e all’estremo oriente russo, sono state inserite anche le isole caraibiche di San Vicente e Grenadine, arcipelago al nord delle coste venezuelane. Qui, gli abitanti cacciano la balena gobba (la megattera) conosciuta per la sua intelligenza e per il suo particolare canto, in una pratica recente, iniziata solo nel XIX secolo da parte di popoli non autoctoni, ma immigrati per ragioni storiche e sociali. Secondo gli accordi presi a Panama i popoli nativi dell’Alaska avranno ora diritto ad uccidere 336 balene tra il 2013 ed il 2018; i russi 744; gli antillani 24.
I lavori della commissione, lungi dal preoccuparsi della protezione della specie, sembrano orientati a un rinascimento della caccia alla balena. Gli sforzi conservazionistici dei paesi latinoamericani si sono scontrati con gli interessi di un’industria ancora radicata, che usa l’anacronismo di un’identità culturale come scudo ad una attività speculativa che impoverisce i mari. I risultati, già poco confortanti, rischiano di peggiorare se troverà la maggioranza la proposta della Danimarca che vuole aumentare la quota di pesca per la Groenlandia. Nonostante sia stata provato che la caccia ai cetacei da parte dei groenlandesi è operata ormai in gran parte per rispondere a fini commerciali e non di sussistenza, per il solito gioco di influenze, i danesi potrebbero vedere la loro richiesta esaudita.
Secondo i gruppi ecologisti nel corso del secolo scorso sono stati uccisi due milioni di balene, un numero che ha ormai posto questa specie in serio rischio di estinzione.


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